mercoledì 31 ottobre 2007

Chi ha paura della valutazione? Di Marta Rapallini

Inserisco volentieri l'intervento di Marta Rapallini, Segreteria particolare Sottosegretario MiUR, in risposta al comunicato ANDU del 29 ottobre.
Anche io sono convinto, e l'ho scritto più volte (vedi post del 18 ottobre), che una seria valutazione di ricercatori e docenti sia un punto imprescindibile per la riforma del sistema università-ricerca. Se si vuole innescare un cambiamento reale e produttivo, se si vuole bonificare la palude degli assenteisti e dei nullafacenti, non bisogna sottrarsi alla valutazione. A mio parere, il requisito fondamentale per una valutazione seria, è che questa debba essere condotta da persone esperte, studiosi con un buon curriculum scientifico, molti dei quali stranieri e, quindi, meno avvezzi ad inciuci, nepotismi e localismi. Se la valutazione sarà fatta sempre dagli stessi personaggi, spesso solo burocrati, maestri nell'esercizio del potere, allora potremo scordarci qualsiasi cambiamento.


Spett.le ANDU,
rispondo al vostro comunicato del 29 ottobre. Credo che sia ora di fare chiarezza e credo che sia ormai non più procrastinabile che l’università italiana, e con essa ovviamente i suoi docenti e ricercatori, decidano in quale direzione andare. Perché se la direzione e’ quella dell’autonomia responsabile il ricorso alla valutazione dell’Anvur deve essere considerato strumento indispensabile per il Governo del sistema. Viceversa se la direzione fosse quella della “centralizzazione” del sistema (opposto dell’autonomia) allora l’Anvur diverrebbe strumento del Governo.
Questo Governo finalmente ha compiuto, con l’istituzione dell’Anvur, un passo decisivo verso la creazione, anche in Italia, di un organismo terzo, indipendente di valutazione del sistema universitario e della ricerca. Ruolo decisivo in questa azione lo ha avuto proprio il Ministro Mussi e voi dell’ANDU lo ricorderete senz’altro poiché avete partecipato, insieme a tutti i sindacati, a lunghe riunioni in cui il ministro ha illustrato e difeso la “sua” agenzia dai conservatorismi presenti nel sistema.
Voi e altri dite che l’Anvur dovrebbe limitarsi a valutare le istituzioni e le strutture. Bene ma mi chiedo, come fa l’Anvur a valutare istituzioni, sedi e strutture se non anche attraverso la valutazione del lavoro dei suoi docenti e ricercatori? Perché una università autonoma non dovrebbe chiedere di conoscere quali sono i gruppi di ricerca o i docenti che contribuiscono maggiormente alla sua crescita? Perché la stessa università autonoma non dovrebbe, nelle sedi opportune, incentivare il l’operato di questi suoi docenti e ricercatori? Io penso che gli incentivi che la L. 370/99 aveva istituito abbiano fallito il loro obbiettivo perché le università non avevano le strutture adatte a valutare il lavoro del loro personale: l’Anvur potrà servire anche a questo. Per obbiettivo fallito intendo che l’unico, o quasi, criterio di attribuzione degli incentivi è sempre stato la distribuzione uniforme cosa che, spero che tutti siano d’accordo, è l’opposto dell’incentivo.
Mi chiedo ancora: perché se il merito di docenti e ricercatori diventerà elemento importante per l’assegnazione di una quota, seppur ancora piccola, di finanziamento premiale alla struttura, non potrà essere uno dei tasselli della carriera di un docente? Anche a questo proposito ogni posizione sottintende una visione del sistema. Credo che sia giusto, e spero tanti come me, che un docente o ricercatore venga reclutato presto nel sistema, con un ruolo non precario ma stabile. A questa idea si oppone un certo conservatorismo che crede che solo una ristretta cerchia di autorevoli professori anziani siano in grado di decidere quali “giovani”, ma non troppo, siano sufficientemente “maturi” per accedere al ruolo. Ma questo imprimatur non può avvenire troppo presto per ovvi motivi. In coerenza, ecco il proliferare di una selva di contratti, assegni, borse e quant’altro per mantenere un bacino stabile di “giovani” da cui l’autorevole gotha delle università possa cooptare. A questa visione gerarchica e antica dell’università non si può rispondere con una autonomia irresponsabile come troppo spesso abbiamo visto fare in questi anni. L’atto di reclutamento, che deve necessariamente essere serio, trasparente e scientificamente valido, non può essere però l’unico atto con cui un ateneo autonomo valuta i docenti e i ricercatori che operano presso di sé. Il reclutamento deve avvenire presto, quindi su una personalità scientifica ancora non completamente definita, ad esso perciò devono seguire, a cadenza diversa, valutazioni scientifiche dei docenti e ricercatori. E’ garanzia del sistema, degli atenei e dei singoli docenti e ricercatori se queste valutazioni periodiche verranno effettuate dall’Anvur proprio a causa della sua terzietà.

Veniamo all’emendamento Tocci et al. Esso esprime un concetto già presente in un comma nel testo del regolamento per il reclutamento dei ricercatori proposto dal MiUR. Concetto anche più volte ribadito dagli esponenti del Ministero, il Ministro in primis ovviamente. Il regolamento, tutt’ora all’attenzione del Consiglio di Stato, nella sua versione finale ha dovuto essere privato di quel comma per problemi tecnico-giuridici. Quindi l’emendamento, lungi dall’essere un golpe, traduce proprio quanto sopra esposto, ovvero indica la direzione verso cui questo Governo, e in particolare il Ministro Mussi, vogliono orientare il sistema: più responsabilità, meno precarietà, meno arbitrarietà, più trasparenza. L’emendamento ha sollevato, e in questo concordo con quanti lo hanno osservato, un’ingiusta differenziazione tra ricercatori e professori. Ma anche per questo la motivazione è solo tecnico giuridica: un articolo sui ricercatori non può contenere un comma sui professori. Ma si tratta di un primo passo infatti il Senato, comprendendo questo, ha votato un ordine del Giorno che impegna il Governo ad introdurre questo aspetto in una visione organica.
Quindi qualsiasi decisione che andasse in una direzione diversa da quella contenuta nel regolamento di reclutamento e dal coerente emendamento in VII commissione della Camera, rappresenterebbe sì un cambio di rotta di questo Governo. La coerenza non è tutto ma la chiarezza è davvero indispensabile per trarre da un sano confronto politico la via giusta da seguire.

Marta RapalliniArea sapere DS-Ulivo, Segreteria particolare Sottosegretario MiUR

giovedì 18 ottobre 2007

Basta parole, adesso servono i fatti, di Patrizio Dimitri

Inserisco un mio commento sulle risposte di Rosy Bindi, Enrico Letta e Walter Veltroni alla nostra lettera aperta del 26 settembre. Una versione riveduta e un po' "maciullata" del commento è stata pubblicata oggi da Europa.

Rosy Bindi, Enrico Letta e Walter Veltroni hanno risposto all’appello di centinaia di docenti e ricercatori apparso su Europa il 26 settembre scorso, affermando che il Partito Democratico sosterrà università e ricerca. I tre candidati, con una dose forse eccessiva d’ottimismo, intravedono anche segnali incoraggianti. Non ce ne vogliano, ma dopo un anno e mezzo di legislatura, questi segnali sono ancora troppo flebili, direi quasi omeopatici. Cerchiamo di vedere perché.
La “mitica” agenzia di valutazione (ANVUR) fluttua ancora nel mondo delle idee platoniche: il Consiglio di stato, infatti, ne ha bocciato il decreto. I progetti di ricerca di interesse nazionale (PRIN) sono usciti per la prima volta in 11 anni con un ritardo di 6 mesi, dopo la bocciatura da parte della Corte dei Conti, ed il budget stanziato di 74 milioni di euro somiglia molto ad un’elemosina. Ci assicurano che arriverà a 150 milioni grazie a fondi sbloccati in finanziaria, ma di questi tempi è meglio essere cauti. Bisogna anche dire che le nuove norme del PRIN sono state modificate al fotofinish, rispetto a quelle eleborate in precedenza dal sottosegretario Modica, e le modifiche non sono certo migliorative (per i dettagli leggete il precedente commento del Rettore dell'Università di Camerino, Fulvio Esposito). Per continuare con l’elenco dei successi, il nuovo regolamento per il reclutamento dei ricercatori è stato anch’esso bocciato dalla Corte dei Conti. Il Ministro Mussi ha ottenuto lo sblocco di 20 milioni di euro per bandire 1000 posti di ricercatore da espletare con le vecchie e criticate norme, un atto dovuto, non c’è che dire, anche se non si può evitare di constatare l’aspetto grottesco della vicenda. I finanziamenti andranno solo alle università che hanno un rapporto tra spese per stipendi e fondi di finanziamento ordinario inferiore al 90%, e ad ogni posto verrà destinato il 50% del budget necessario, il resto dovranno mettercelo gli atenei.
Queste ed altre vicende, da cui è emersa anche una buona dose di superficialità ed improvvisazione da parte del Governo, hanno generato precarietà, disorientamento, frustrazione e rabbia nella comunità dei ricercatori. Non a caso, l’on. Modica per primo ha fatto una sincera e sofferta autocritica che è stata da noi apprezzata.
La verità è che la ricerca pubblica è da sempre un optional nel nostro paese: belle parole, buone intenzioni e patti di solidarietà firmati da Ministri che poi si traducono in poche risorse. Basti pensare che la finanziaria ha previsto per il 2008 solo 80 milioni di euro per la ricerca, un altro magrissimo bottino.
Nonostante questi problemi, la ricerca italiana è, in media, molto competitiva nel contesto internazionale e Mussi lo sa bene. Un risultato sorprendente raggiunto grazie a professori, ricercatori e precari sottopagati, che da sempre si fanno in quattro per “mandare avanti la baracca”, svolgendo didattica e ricerca con passione e competenza, anche al posto di chi all’università non mette mai piede. Sono quelli che l’onorevole Walter Tocci ha chiamato “eroi civili”, figure che hanno poco peso nel mondo accademico, emarginati o assorbiti da un lavoro che concede poche pause. Figure che non fanno notizia e vengono confuse, dal fumoso qualunquismo dei media, nella stessa “bolgia infernale”, con nepotisti, corrotti e fannulloni.
Ormai, però, gli “eroi civili” sono stremati: passione e dedizione non bastano più. Occorre ristabilire equità e serietà, iniziare a bonificare le paludi degli sprechi, distribuire le risorse a chi ha dimostrato di saperle far fruttare, premiando in base ai risultati e non ai legami familiari, assegnando incentivi stipendiali a chi fa bene il proprio lavoro. C’è bisogno di aria nuova, come dice Veltroni, ma anche di persone nuove. Per avviare il cambiamento sarà necessario un sistema di valutazione, trasparente e più oggettivo possibile, dell’attività didattica e scientifica, che premi competenza e serietà. E allora, l’ANVUR, se mai vedrà la luce, dovrà essere veramente svincolata da politica ed accademia, i concorsi non dovranno più essere guidati dai “soliti noti” e nelle commissioni si dovrà prevedere la presenza di esperti di rilievo internazionale, meglio se stranieri, perché svincolati da baronie locali. Dobbiamo evitare che si perpetui la logica gattopardesca del “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”. Purtroppo, il nuovo regolamento sul reclutamento dei ricercatori appare un ibrido tra concorsi locali e nazionali che difficilmente estirperà localismo e nepotismo.
E’ auspicabile, come dice la Bindi, che il dibattito tra ricercatori e politici, apertosi su “Europa”, non si limiti ai soli momenti elettorali, ma prosegua, per arrivare in tempi brevi a riforme condivise e risolutive a favore di Università e Ricerca. E’ necessario che alle parole seguano finalmente i fatti.

sabato 13 ottobre 2007

Ricerca, così non basta, di Rosy Bindi

Su Europa del 12 ottobre viene pubblicata la risposta di Rosy Bindi alla nostra lettera


Cari Professori e Ricercatori,

la vostra lettera, prima e più che domande a noi candidati segretari del Partito Democratico, esprime la delusione del mondo universitario rispetto al governo di cui anch'io faccio parte. Delusione forte quanto le attese e le speranze che il programma dell'Unione aveva suscitato. E' segno di responsabilità che la prima e piú circostanziata risposta sia venuta da Luciano Modica, sottosegretario all'Università; ed è segno di responsabilità rispondervi riprendendo in larga misura la risposta di Modica, come hanno fatto anche Letta e Veltroni in questi stessi giorni.

In questo spirito è giusto ricordare quanto il governo ha pur fatto. Il varo dell'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR), e, prima che sia operativa, l'aggancio dei nuovi posti al numero di giovani formati e alla qualità della ricerca secondo il CIVR (Comitato di Indirizzo per la valutazione della Ricerca); il bando dei primi posti da ricercatore su fondi 2007, stimati in 20 milioni di € (benché, purtroppo, ancora con le vecchie regole); i successivi 1200 posti da ricercatore fra 2008 e 2009 con le nuove regole; la recente approvazione del disegno di legge delega sul riordino degli enti di ricerca; il recentissimo sblocco, ancorché con molto ritardo, dei fondi PRIN; il patto per l'università e la ricerca col Ministero della Salute del 2006 e quello col Ministero dell'Economia presentato lo scorso agosto.

Mi permetto di aggiungere una novità sfuggita perfino all'elenco di Modica e secondo me importante: il nuovo metodo di selezione dei vertici degli enti di ricerca. Il Comitato di alta consulenza, composto da scienziati italiani e stranieri di fama mondiale, dovrà indicare una rosa di nomi tra cui il ministro Mussi individuerà la personalità da proporre al Consiglio dei Ministri e al Parlamento per la nomina a Presidente del Cnr. La designazione del Comitato costituisce il terzo esempio (dopo quello dell'Agenzia Spaziale Italiana e dell'Istituto Nazionale di Astrofisica) di affidamento alla stessa comunità scientifica delle procedure di scelta degli organi direttivi degli enti di ricerca, e rappresenta a mio avviso una vera rivoluzione. La politica si spoglia di una prerogativa che in Italia aveva avuto da sempre (e spesso utilizzato male), e allinea il Paese agli standard internazionali.

Si tratta solo di segnali e non ancora dei fatti che università e ricerca reclamano. Riconosco anch’io, come osserva Modica, che un punto strategico del programma dell'Unione, quello della priorità da assegnare al tema del sapere in un'economia della conoscenza, è stato finora mancato, con quei risultati potenzialmente catastrofici, da voi stessi segnalati: soprattutto un'ulteriore emorragia dei cervelli e un elevato invecchiamento del corpo docente..

In che modo impegnarsi, nello stretto sentiero imposto dai vincoli del risanamento finanziario, per realizzare questo punto chiave del programma dell'Unione entro la legislatura, e raggiungere, per fare un esempio, gli standard scientifici e universitari della Spagna di oggi, che ha risalito la china e ci ha superati grazie ad un'incisiva e relativamente breve azione di governo?

Credo che ciò si possa realizzare anche promuovendo un partito capace di dialogare in permanenza, non solo nei momenti critici o elettorali, con i migliori docenti e scienziati, anche quelli, ovviamente, che non votano per il centrosinistra.

Il Pd, per essere anello di collegamento fra cittadini e istituzioni secondo il suo ruolo costituzionale, per proseguire e potenziare una compatta e coerente azione dei propri ministri in favore della priorità del sapere, deve recuperare e valorizzare le migliori competenze ed esperienze del Paese, affinché il programma dell'Unione si traduca in articoli delle leggi finanziarie ed in interventi mirati ed efficaci.

Ma lasciatemi dire che nel 2006 siamo partiti dalle macerie, sia nei finanziamenti che nel campo specifico della ricerca e dell'università, e abbiamo ancora davanti a noi più di tre anni. Non è tempo di predisporre un nuovo programma o prefigurare un nuovo governo: si ripartirebbe da risultati ancora troppo limitati proprio nel campo della ricerca e dell’università, nel quale covano non solo delusioni e richieste di maggior rinnovamento, ma anche potenti resistenze trasversali alle poche buone azioni finora intraprese.
Ma ora, invece, è il tempo di dimostrare che il governo Prodi può e sa mantenere le promesse del suo programma ed il Partito Democratico deve saper fare la propria parte per vincere la sfida di un’Italia più libera, più ricca e più giusta perché investe nella cultura, nei saperi e nella ricerca.

venerdì 5 ottobre 2007

Così il Pd sosterrà la ricerca, di Walter Veltroni

Su "Europa" del 6 ottobre scorso viene pubblicata la risposta di Walter Veltroni alla nostra lettera aperta del 26 settembre.

Il documento degli scienziati e dei ricercatori pubblicato nei giorni scorsi da Europa pone problemi reali.
Il sistema della ricerca, in Italia, soffre di una mancanza di fondi, di una carenza di programmazione, di una scarsa considerazione del merito.
È vero che anche la ricerca non può che soffrire la situazione dei conti pubblici del paese, la più pesante delle eredità del centrodestra.
Così come è vero che alcune recenti proposte di riforma, dalle nuove regole per il reclutamento dei ricercatori al nuovo strumento di finanziamento dei progetti di ricerca volto a integrare i fondi per la ricerca di base con quelli della ricerca applicata, si sono scontrate con lentezze procedurali che vanno superate.
In questo come in altri campi.
Ma al di là di questo, i firmatari del Manifesto pongono un problema più generale.
Il Partito democratico saprà davvero fare della ricerca una priorità? Saprà, cioè, scegliere il futuro contro i particolarismi, saprà riconoscere il ruolo decisivo che le risorse immateriali, vale a dire l’attività della ricerca, il sapere che c’è nella testa delle persone e che poi si traduce in concreta innovazione e diffusione di conoscenza, hanno nel determinare i livelli di produttività e di competitività del paese? Saprà far vivere l’idea che solo uno sviluppo basato sulla conoscenza può essere ambientalmente e socialmente sostenibile, può tenere insieme crescita economica, benessere e libertà delle persone? Affermare nei fatti queste priorità è una delle ragioni fondative del Partito democratico. Costruire le condizioni per cui l’Italia possa crescere nell’economia e nella società della conoscenza è una delle sue ragioni d’essere. Ci sono alcuni fatti che lasciano ben sperare. Il primo è l’approvazione in via definitiva del disegno di legge delega sul riordino degli Enti di ricerca, che dà agli Enti autonomia statutaria, liquida le intromissioni lottizzatrici dei partiti all’interno dei loro organismi direttivi, li libera da un eccesso di legislazione, rende la comunità scientifica responsabile dell’organizzazione del proprio lavoro e dei propri risultati.
Il secondo è il cammino dell’Agenzia nazionale di valutazione del sistema dell’Università e della ricerca, pensata per riconoscere le eccellenze e individuare le criticità del sistema, per promuoverne la crescita e la qualità. Concretamente, vuol dire che si potrà rafforzare l’indispensabile legame tra valutazione della ricerca e trasferimenti delle risorse, che dovranno essere mirate innanzitutto alle eccellenze. Autonomia e valutazione sono principi fondamentali.
Perché se è vero che i fondi destinati alla ricerca e all’Università devono nel complesso aumentare, è vero anche che bisogna saper programmare, rendere certi i finanziamenti e scegliere dove indirizzarli.
Il che vuol dire prendere con decisione la strada della valutazione oggettiva fatta da persone competenti e terze, per orientare il flusso delle risorse in modo tale che dare finalmente spazio al merito sia non solo giusto e proficuo in prospettiva ma anche immediatamente conveniente.
Fare questo vorrebbe dire anche guadagnare più credito sul piano internazionale e moltiplicare le occasioni per stare in rete nei gruppi di ricerca ad alto livello.
Accanto a questo bisogna puntare con decisione sul rafforzamento del legame tra università e mondo produttivo, incentivando la grande impresa a fare ricerca, immaginando ad esempio progetti congiunti con strutture pubbliche, e diffondendo la pratica dell’innovazione nelle piccole imprese, anche con gli opportuni sostegni finanziari.
La ricerca e l’università italiane hanno bisogno di aria nuova.
Bisogna sbloccare i concorsi e riaprire le porte di accesso all’università.
Ci sono energie, ci sono talenti che non devono più trovare ostacoli, piccoli interessi e vecchie logiche di potere a sbarrare loro la strada. Anche qui non è solo giusto: è l’unico modo per rendere le nostre università e i nostri istituti di ricerca dei centri di eccellenza in grado di coinvolgere e trattenere le migliori intelligenze del paese e di attrarre ricercatori e docenti da ogni parte del mondo.
Sostenere la ricerca non è un lusso, è una necessità. È su di essa, e sul sistema dell’istruzione, che un paese costruisce il suo futuro

mercoledì 3 ottobre 2007

LA CORTE DEI CONTI REGISTRA IL BANDO PRIN 2007

La Corte dei Conti ha registrato oggi il Bando PRIN 2007, che diventa quindi pienamente operativo. Inoltre, l’art. 1 del decreto-legge di accompagnamento alla Finanziaria, in corso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, ha disposto lo sblocco di ulteriori fondi per la ricerca sul bilancio 2007. Pertanto, il Bando PRIN 2007 potrà prevedere, per il 2007, 150 milioni di euro. DOBBIAMO CREDERCI???
Sul sito del PRIN sono presenti nota illustrativa ed fac-simili dei modelli A e B.

lunedì 1 ottobre 2007

IMPORTANTE: leggete la nota illustrativa sul PRIN 2007

Cliccate sul titolo del post per consultare il pdf. Le unità degli enti avranno un responsabile locale degli enti, mi sembra giusto!

Università italiana: come far di tutta l'erba un fascio

Nell’articolo “La triste università italiana produce gli stanchi del domani”, pubblicato oggi su “Il Riformista”, il signor Giuliano Da Empoli rende un pessimo servizio all’informazione e alla parte sana dell’università e della ricerca nel nostro paese. E' anche grazie a chi spara a zero sull'università nel suo complesso senza fare i dovuti distinguo, se siamo messi così male. Cliccate sul titolo del post per leggere l'articolo.