mercoledì 24 dicembre 2014

Auguri alla ricerca italiana, ne ha molto bisogno!

Buone feste e buon 2015 a tutta la ricerca italiana e specialmente ai gruppi piccoli e produttivi che cercano di resistere, malgrado tutto!
Malgrado l'assenza di finanziamenti, malgrado l'assenza di programmazione, malgrado un sistema che non garantisce pari opportunità a chi svolge attività ricerca, malgrado il collasso ormai difficilmente reversibile delle università e dei centri pubblici di ricerca di questo disgraziato paese.
Un sentito ringraziamento alla classe politica italiana che negli ultimi anni ha permesso tutto questo!!

venerdì 12 dicembre 2014

La guerra al maiale e la ricerca scientifica nel paese del "mondo di mezzo"

Nel romanzo “Diario della guerra al maiale”, Adolfo Bioy Casares narra la storia surreale di una guerra civile dove i giovani di Buenos Aires danno la caccia a chiunque abbia superato i 50 anni, perché ormai ritenuto inutile alla società. Una metafora, quella dello scrittore argentino, che vuole mettere in risalto l'uso molto spesso strumentale e propagandistico di una retorica giovanilista fine a se stessa, ma molto in voga oggi, dopo esserlo stata in altri periodi oscuri del nostro paese: ricordate "Giovinezza, giovinezza, primavera di bellezza"?
Parlando dei problemi reali dei giovani nel nostro paese, invece, come non essere d'accordo con quanto denunciato di recente in una lettera-appello al Presidente Napolitano da Cosimo La Cava, uno dei tanti ricercatori italiani costretti a dover cercare fortuna all'estero? Conosco bene il problema: nel corso degli anni, infatti, ho assistito all'esodo di diversi giovani bravi che si sono formati nel mio laboratorio verso Spagna, Inghilterra e Stati Uniti. Sono stati inevitabilmente attratti dalle concrete prospettive economiche e ambientali offerte da questi paesi.
Un paese civile ha il dovere di garantire un degno futuro ai suoi giovani meritevoli, invece in Italia, costringendoli a fuggire, non solo si produce una grave emorragia di "capitale umano" e si mandano in fumo anche le risorse economiche investite per la loro formazione, come sottolinea La Cava, ma anche si pregiudicano o addirittura si cancellano ricerche promettenti. Senza dimenticare le migliaia di ricercatori e docenti, giovani e meno giovani, armati di passione e dedizione, quelli che sono rimasti e che da anni cercano di resistere. Anche essi sono esasperati e umiliati dalla mancanza di considerazione che la classe politica e dirigente di questo paese mostra nei confronti del loro lavoro.
Molti stati europei programmano in largo anticipo piani di spesa dettagliati e investono significative percentuali del PIL nella ricerca, perchè la ritengono elemento cardine per la crescita. In Italia, al contrario, la ricerca pubblica è stata da anni abbandonata, in assenza di programmazione e risorse adeguate. Non a caso Renato Dulbecco, premio Nobel per la Medicina, nel 2008 denunciava che «Un paese che investe lo 0,9% del proprio prodotto interno lordo in ricerca, contro la media del 2% degli altri, non può essere scientificamente competitivo, né attirare a sé o trattenere i suoi ricercatori migliori». Malgrado i reiterati e accorati appelli inviati alla classe politica nel corso degli anni anche da altri primi nobel italiani, come Rita Levi Montalcini e Mario Capecchi, la situazione non è cambiata: università e ricerca nel nostro paese sono sempre più delle conclamate cenerontole, figlie di un dio minore.
I tagli continui, sempre più pesanti e indiscriminati inflitti da tutti i recenti governi ai fondi di finanziamento ordianario (FFO) degli atenei e la quasi totale cancellazione del turnover voluta dalla premiata ditta Gelmini & co, stanno portando al collasso definitivo del sistema universitario e della ricerca. Come se non bastasse, le risorse ministeriali destinate ai fondi pubblici per la ricerca negli ultimi anni hanno toccato il fondo, mi si perdoni il calembour e nel 2014 sono state azzerate. Il governo Letta, prima della sua dipartita, ha infatti definitivamente cancellato i bandi dei Progetti di Ricerca di Interesse nazionale (PRIN), destinando i pochi fondi residui ai bandi SIR (Scientific Independence of young Researchers), dedicati esclusivamente ai "giovani" sotto i 40 anni. La ministra Carrozza, nello stesso periodo, aveva dato alla luce, ma solo sulla carta, una sorta di piano di programmazione della ricerca nazionale dove era previsto, tra l'altro, un nuovo bando battezzato RIDE (Ricerca Italiana di Eccellenza) che avrebbe dovuto sostituire il PRIN: ennesimo esempio di vuoto nominalismo all'italiana. Dopo quasi 9 mesi, non si sente più parlare del mitico bando RIDE, che quindi rischia di essere ricordato per essere stato il più inutile ed effimero acronimo, partorito con (speriamo) involontaria autoironia dal MIUR. Forse, sarebbe stato più realistico chiamarlo PIANGE (Progetti Italiani Ancora Non GEstibili).
In questa cronica scarsità di risorse, negli atenei e nei centri di ricerca si vive ormai da anni alla giornata e la competizione esasperata che si è venuta creare, lungi dall'essere un elemento positivo, ha premiato spesso i più forti, non sempre i più meritevoli, cancellando quella variabilità culturale e scientifca che è un fattore determinante per lo sviluppo della ricerca e della conoscenza.
Perchè siamo arrivati a questo punto? E' semplice, al contrario di altri paesi, in Italia si sono anteposti gli interessi personali di grandi e piccoli gruppi di potere politico-economico a quelli dei cittadini e del paese. Il recente scandalo emerso a Roma dall'inchiesta "Mondo di mezzo" parla chiaro e mette in evidenza probabilmente solo la punta dell'iceberg di un fenomeno di corruzione di massa. In questa melma di sottosviluppo politico e sociale, le nuove generazioni sono state cresciute e nutrite con i miti del successo facile. Piuttosto che andare all'università per studiare e formarsi, c'è chi farebbe di tutto pur di partecipare a qualche demenziale programma televisivo, pur di apparire, pur di diventare ricco e famoso come un calciatore od una velina. Questi sono i modelli dominanti che ispirano molti giovani oggi. E' chiaro, quindi, che in questa situazione di degrado, l'istruzione, la ricerca e più in generale, la cultura, una volta valori fondamentali e necessari per la crescita e lo sviluppo del paese, sono diventati degli inutili optional, o meglio, dei fastidiosi impedimenti alla scalata sociale, all'affermazione personale che si base esclusivamente sulla sete di potere e denaro.
E' possibile uscire da questo pantano e risollevare università e ricerca nel nostro paese? Nel lontano 1848 Victor Hugo sosteneva che la crisi si combatte aumentando i fondi alla cultura e non tagliandoli. Considerazione più che ovvia, ma incomprensibile per la nostra classe politica. E' chiaro che servono programmazione e risorse congrue per rilanciare università e ricerca pubblica e per sbloccare il turn over, allo scopo di ripristinare subito un livello fisiologico di reclutamento e progressione delle carriere. In mancanza di misure urgenti molti ricercatori smetteranno di lavorare, molti laboratori chiuderanno, con ulteriori e gravi conseguenze sulla didattica universitaria e sul futuro dei giovani.
Dove trovare le risorse necessarie per un piano di risanamento a lungo termine? Uno studio condotto di recente dalla UIL mette in evidenza l'esistenza di un sottobosco che ruota intorno ai partiti (comitati elettorali, segreterie di partiti, collegi elettorali, consulenti, portaborse, ecc. ecc.) e che consuma miliardi di euro. I costi della politica, diretti e indiretti, nel complesso ammonterebbero a circa 23,9 miliardi di euro annui. Se queste stime si avvicinassero anche minimamente alla realtà, allora non servirebbero miracoli, basterebbe anche solo dimezzare i costi esasperati della politica per risollevare il paese e finanziare adeguatamente istruzione e ricerca.
Se invece di intervenire con azioni concrete ed efficaci, la classe politica e dirigente del nostro paese proseguirà soltanto a sbandierare proclami ad effetto e programmi virtuali, fingendo ipocritamente di scandalizzarsi per poi rimanere sorda ai veri bisogni di istruzione e ricerca, se si continuerà a disprezzare istruzione e ricerca pubbliche, se ne decreterà la definitiva condanna a morte. In questo modo, la decadenza del paese sarà sempre più rapida e irreversibile e la melma del sottosviluppo morale, culturale e economico ci sommergerà definitamente.
Patrizio Dimitri
Professore di Genetica,Università Sapienza, Roma
Intervento inviato al direttore di Repubblica.it Giuseppe Smorto. L'intervento non è stato pubblicato e Giuseppe Smorto non ha nemmeno trovato il tempo per rispondermi