giovedì 27 novembre 2008

Per tutelare il merito, la Gelmini mette i concorsi nelle mani dei "baroni"

La ricerca scientifica è un elemento cardine per la crescita di un paese evoluto, ma in Italia non è una priorità. I fondi, già scarsi, sono diventati cronicamente insufficienti, a causa delle ultime penalizzanti finanziarie di tutti i governi e di una gestione poco congrua e estemporanea dell’esistente; si sottraggono centinaia di milioni di euro già destinati alla ricerca scientifica per darli all’Alitalia, per colmare il buco derivato dalla cancellazione dell’Ici o addirittura per salvare le banche.

Occorrono più finanziamenti per la ricerca, ma servono anche criteri seri e trasparenti per assegnarli. Per questo dobbiamo chiedere una seria valutazione del lavoro di ricercatori e docenti, insieme a nuovi meccanismi concorsuali basati su criteri internazionalmente riconosciuti; così si combattono i fenomeni di nepotismo e clientelismo. Se tutti i meccanismi concorsuali sperimentati finora hanno fallito, generando le aberrazioni nepotistiche e clientelari che vengono denunciate, è lecito pensare che ciò sia dipeso non tanto dai meccanismi stessi, quanto da chi li ha sempre gestiti, ovvero da quella parte dell’accademia dedita agli inciuci e fortemente legata al potere politico. Per bonificare il sistema, penso che i concorsi dovrebbero tornare a essere nazionali e prevedere commissioni composte da una massiccia presenza di esperti stranieri, non perchè più bravi o più belli, ma solo in quanto indipendenti e svincolati dalle lobbies politico-accademiche di casa nostra. Qualcosa di simile è stato proposto anche da Piergiorgio Oddifreddi, su “Repubblica” in un articolo intitolato “Docenti stranieri per salvare l’Università”. Dopo un decennio di tale pratica, avremmo una nuova generazione accademica in media eticamente e scientificamente migliore della precedente; a questo punto si potrebbe passare ad una fase successiva basata esclusivamente sulle chiamate dirette dei candidati da parte degli Atenei, con finanziamenti legati ai risultati.

Purtroppo nel recente decreto 180, l’aspetto più paradossale è che per rendere trasparenti i concorsi e tutelare il merito, il Ministro Gelmini ha messo tutto il potere decisionale nelle mani dei professori ordinari, proprio la categoria considerata ad alta densità di baronia, a detta della stessa Gelmini & co. Associati e ricercatori saranno esclusi dalle commissioni, perchè ritenuti troppo ricattabili, solo gli ordinari potranno farne parte in seguito al sorteggio tra rose di 12 membri scelti per votazione.

Pretendono che si creda alla seguente favoletta: ora che il potere decisionale è in mano ai soli ordinari, questi saranno responsabilizzati e finalmente si tutelerà il merito. Un’affermazione quasi fideistica, un paradosso o meglio un ossimoro! Al contrario, gli ordinari baroni saranno adesso anche più liberi di prima di spadroneggiare nelle commissioni e continueranno come sempre a tessere la tela del clientelismo. La prova di questo è data da molti concorsi per ordinario svolti fino a ieri; non credo si possa affermare che l’assenza degli associati dalle commissioni di quei concorsi abbia garantito un maggior tasso etico.

sabato 22 novembre 2008

La Ministra presciolosa fece i decreti ciechi, di Patrizo Dimitri

Inserisco un lungo commento di risposta ad un articolo fiume di Mario Pirani pubblicato il 21 novembre su "la Repubblica" .

Sono un professore associato di Genetica della Sapienza, vengo da una famiglia di artisti e non ho parenti nell’accademia, quello che ho ottenuto ho dovuto sudarmelo con il lavoro, come molti altri colleghi e forse ho ottenuto meno di quello che avrei meritato. Vorrei replicare all’articolo di Mario Pirani intitolato “Quanto costa al paese l’Università di parentopoli”, un pezzo che è più o meno è il clone “editorialmente modificato” de ”Le mille università dalle cattedre facili” apparso su Repubblica del 26 ottobre del 2007. Allora Pirani sosteneva che gli universitari protestavano solo perchè vedevano minacciati i loro privilegi, e metteva in evidenza lo sfascio della riforma dei corsi di laurea che ha generato inutili Atenei e nuove cattedre. Oggi Pirani parte dalla protesta degli studenti e sostanzialmente ribadisce un leitmotiv un po’ scontato: poveri studenti, non si accorgono di fare il gioco dei baroni e di aiutarli a conservare lo status quo, dovrebbero in realtà “rivendicare addirittura più tagli e non meno”. Niente di più sbagliato: i toni paternalistici di chi sa cosa sarebbe meglio per gli studenti fanno sorridere; gli studenti non sono robot nelle mani dei baroni, sanno quel che fanno e fanno quello in cui credono. Gerontocrazia vuol dire anche questo, pensare che i giovani siano sempre sprovveduti.

E’ vero, l’Università italiana ha sicuramente bisogno di una riforma organica, forse di una rivoluzione. Bisogna rivedere il 3+2, forse anche abolirlo, avendo il coraggio di tornare indietro. Bisogna attuare una seria riforma della docenza che consideri finalmente i ricercatori, una revisione del reclutamento e della progressione della carriera legate alla valutazione. Bisogna cancellare le aberrazioni delle lauree ottenute grazie ai crediti regalati, degli Atenei telematici o ad personam, come la Korè di Enna che ha un corpo docente quasi interamente composto da politici; tutti fenomeni a dire il vero proliferati nel precedente governo Berlusconi. Sono da condannare e da estirpare assenteismo, nepotismo e corruzione, metastasi da anni ormai radicate non solo nell’Università, ma ogni ambito della nostra società. Stupisce che sebbene questi fenomeni siano noti da tempo e denunciati da stampa e televisione, il potere e il delirio di onnipotenza dei soliti noti finora non sia stato intaccato di un millimetro, anzi. In un paese diverso dal nostro, sarebbero già partite delle inchieste giudiziarie, molte teste sarebbero cadute.

Detto questo, a mio parere Pirani non colpisce nel segno, oggi come nel 2007, quando attacca il mondo universitario in toto, senza differenziare, facendo di tutta l’erba un fascio. E’ come sostenere che tutti i giornalisti sono prezzolati, penne al servizio di questo o quel potente, che tutti i parlamentari sono dediti alla corruzione o che tutta la sanità è allo sfascio. Invece di pensare a demolire gli Atenei pubblici dipinti come covi di fannulloni e baroni, una stampa corretta e seria dovrebbe informare i lettori che il mondo universitario e della ricerca è eterogeneo, come sottolineato di recente anche dall’economista Tito Boeri ad Anno Zero. Esiste l’altra faccia degli Atenei, quella pulita che non fa notizia, fatta di gente (studenti, borsisti, ricercatori e docenti) che in scarsità di fondi da anni svolge didattica e ricerca ad alto livello, con serietà e passione. Gente che non vede l’ora di essere valutata con criteri seri e internazionalmente riconosciuti, perchè sa di avere tutte le carte in regola. Gente per cui la valutazione del lavoro scientifico è una prassi fisiologica, sperimentata ogni qualvolta invia un manoscritto con i risultati del proprio lavoro alle riviste internazionali che utilizzano il peer-review, il famoso giudizio dei pari, attualmente stravolto in Italia. Sparare nel mucchio, non discriminare tra i bravi e i nullafacenti, tra gli onesti e i corrotti è un’azione grave e scorretta che danneggia e svilisce proprio i migliori talenti, i cervelli che esistono e resistono in condizioni difficili nei nostri Atenei e che invece andrebbero sostenuti.

I problemi della ricerca in questo paese allo sbando non sono una novità, ma oggi la loro gravità è ulteriormente cresciuta, con conseguenze negative enormi sullo sviluppo culturale e tecnologico. In Italia, i fondi per la ricerca pubblica, già scarsi, sono ormai diventati cronicamente insufficienti, a causa delle ultime penalizzanti finanziarie di tutti i governi e di una gestione poco congrua e estemporanea dell’esistente; si rubano centinaia di milioni di euro già destinati alla ricerca scientifica pubblica per darli all’Alitalia, per colmare il buco derivato dalla cancellazione dell’Ici o addirittura per salvare le banche.

La ricerca scientifica è un elemento cardine per la crescita di un paese evoluto e per questo molti stati programmano in largo anticipo piani dettagliati di investimento e spendono per ricerca pubblica ingenti risorse e significative porzioni del PIL. La media europea è del 2%, i paesi scandinavi e il Giappone superano il 3% (la Finlandia arriva addirittura al 15%), la Germania è intorno al 2.5%, mentre l’Italia è una conclamata “Cenerentola” con un mediocre 0.9%. La drammaticità di questo dato è confermata anche da Renato Dulbecco, famoso genetista molecolare e premio Nobel, che ha recentemente dichiarato che “chi investe così poco in ricerca non può essere scientificamente competitivo né attirare a sé o trattenere i suoi ricercatori migliori”. Da noi, poi, i ricercatori sono pochi, circa 3 su un totale di mille occupati, rispetto alla media europea che è di 6 su mille, e mal pagati. Malgrado ciò, i nostri ricercatori sono al terzo posto tra i paesi del G8 per produttività scientifica (numero di pubblicazioni e brevetti in rapporto ai fondi ricevuti), quindi meriterebbero di avere maggiori opportunità di finanziamento.

Fanno bene gli studenti a protestare contro i tagli indiscriminati della legge 133, perché quei tagli non colpiranno affatto nepotisti e fannulloni, ma graveranno solo sulle spalle di chi studia e lavora. Nella legge 133, infatti, non c’è traccia di interventi che prevedono una valutazione seria e trasparente a favore del merito. Fanno bene gli studenti a protestare anche contro il recente decreto 180 del Ministro Gelmini. In quel decreto, infatti, le misure per identificare gli Atenei virtuosi a cui assegnare risorse (finanziamenti e posti) sono descritte da criteri solo accennati e quindi ancora da interpretare e sviluppare. Nel definire la virtù di un Atenei, i bilanci o il numero di docenti sembrano pesare più di ricerca e didattica, elementi che invece devono essere prioritari. Sarebbe, invece, più serio e ragionevole valutare direttamente Facoltà o Dipartimenti e incrementare o tagliare risorse a seconda della produttività scientifica e del livello della didattica. Inoltre, le “rivoluzionarie” modifiche del meccanismo di elezione dei commissari, apportate a concorsi già banditi e ora bloccati, prevedono che solo i professori ordinari vengano inclusi nelle commissioni, cosa che aumenterà il loro potere e non renderà certo più virtuosi i nepotisti. Inoltre, il frettoloso decreto crea un problema tecnico; in alcuni settori non sarà disponibile il numero di ordinari sufficiente per espletare il sorteggio dei commissari e si dovrà pescare nei settori affini, creando non poche complicazioni.

Se tutti meccanismi concorsuali sperimentati fino ad oggi, apparentemente innovativi, hanno generato le aberrazioni nepotistiche e clientelari che vengono denunciate, è ragionevole pensare che ciò sia dipeso non tanto dai meccanismi stessi, quanto da chi li ha pensati e gestiti fino ad oggi, ovvero da quella parte dell’accademia dedita agli inciuci e fortemente legata al potere politico. Ormai da anni sono convinto che i concorsi dovrebbero tornare ad essere nazionali e prevedere commissioni fatte da una massiccia componente di esperti internazionali, non perchè più bravi o più belli, ma solo in quanto indipendenti e svincolati dalle lobbies politico-accademiche. Qualcosa di simile è stato proposto anche dal collega Piergiorgio Oddifreddi, sempre su “Repubblica” in un articolo “Docenti stranieri per salvare l’Università”. Dopo un decennio di tale pratica, si potrebbe formare una nuova generazione accademica eticamente e scientificamente valida e passare anche alla chiamata diretta da parte degli Atenei con finanziamenti legati ai risultati.

Mariastella Gelmini è nata in provincia di Brescia e forse non conosce il detto laziale: “La ghiatta presciolosa fece li ghiattucci cèchi.”. Una vera riforma sull’Università, infatti, richiede tempo e pensiero, non può essere definita da decreti in stile “Bignami”, partoriti e approvati in tutta fretta: in questo modo si continueranno a generare errori, aberrazioni e mostruosità. Un vera riforma deve essere organica, condivisa e progettata dialogando anche con chi negli Atenei lavora e studia, al di là delle appartenenze a schieramenti politici o d’occasione, per definire i meccanismi virtuosi che vanno premiati e quelli perversi che devono essere scoraggiati. Bisogna mappare le sacche di inefficienza e corruzione e intervenire tagliandole o ridimensionandole con strumenti idonei. Per iniziare, si potrebbero utilizzare le valutazioni già prodotte dal Civr, ma anche mettere finalmente in moto l’agenzia di valutazione Anvur. Invece, questo governo, con tagli indiscriminati e misure improvvisate che penalizzano Università e Ricerca pubbliche, per ora sembra accanirsi solo contro la parte migliore degli Atenei: se non si cambia la strategia, fannulloni e nepotisti se la spasseranno indisturbati come sempre.

giovedì 20 novembre 2008

Altro che gavettone, di Patrizio Dimitri

Il 14 novembre scorso una marea di gente ha invaso Roma fino a Montecitorio per protestare contro i tagli indiscriminati a Università e Ricerca e per chiedere meccanismi di valutazione seri e trasparenti che premino il merito, non certo per difendere i privilegi dei baroni. Tra i detrattori, “Il Giornale” di Berlusconi ha definito l’Onda un banale gavettone, ma chi c’era sa che non è così. Si vuole sminuire un fenomeno importante con l’aiuto di opinionisti di regime che mistificano la realtà descrivendo gli studenti come idioti lobotomizzati o robot manovrati dai baroni: siamo in pieno oscurantismo, la verità è stravolta tutti i giorni.

Al contrario, ho visto molti docenti “risvegliarsi” da un torpore di anni, appassionarsi nelle assemblee, svolgere lezioni in piazza e unirsi alle proteste civili e fantasiose di studenti e precari, non certo per tornaconto personale. Il piano è ovvio: dividere il fronte compatto dell’Onda che ha radunato le diverse componenti universitarie e che spaventa il governo. E allora vai con le “ruspe della calunnia” a demolire tutti gli Atenei pubblici, descritti solo come covi di nullafacenti e nepotisti: una nenia che va avanti da mesi. Si tratta di un’azione scorretta e gravissima perchè colpisce e svilisce proprio la gente che lavora, i migliori talenti, i cervelli che esistono e resistono in condizioni difficili nei nostri Atenei (e non nella privata e patinata Università Bocconi), equiparandoli a fannulloni e baroni, che invece sono da sempre i loro avversari.

I “demolitori” e gli “ammazzabaroni” di parte quando sparano a zero sull'Università, dimenticano di citare i casi più scandalosi: gli atenei telematici del CEPU o quelli ad personam, come l’Università Korè di Enna, nati nel passato Governo Berlusconi, con la collaborazione di Letizia Moratti, allora Ministro del Miur. Il Rettore della Korè è Salvo Andò, che ha subito vari processi per tangenti e collusione mafiosa, poi assolto solo grazie alla prescrizione. In quell’università il corpo docenti, guarda caso è composto da molti politici ed è stata recentemente consegnata la "Laurea honoris causa" al Ministro Angelino Alfano. E poi ci vengono a fare la morale sulle clientele e le baronie?

Questo governo ha proprio un rapporto difficile con l’etica e la cultura. Lo conferma la recente nomina di Mario Resca, ex-direttore della McDonald’s Italia, a capo della "Direzione generale per i musei, le gallerie e la valorizzazione". Arte e hamburger? Un connubio indigesto o un gesto spontaneo in stile pop-art? Visto che l’arte è il cibo dello spirito, il Ministro dei Beni Culturali Bondi, avrà pensato che un manager della ristorazione di massa fosse la scelta migliore. Buon appetito!

venerdì 7 novembre 2008

Obama, l'abbronzatura del cavaliere e le bugie del Governo, di Patrizio Dimitri

Da mercoledì tutto il mondo commenta il trionfo di Barak Obama, primo afro-americano e di religione musulmana, eletto presidente degli USA. Una svolta epocale? Sì, ma i veri effetti non si vedranno subito, a parte un fuggente entusiasmo delle borse. Molti festeggiano, altri storcono il naso, altri ancora vanno ad arricchire la schiera degli “obamisti” dell’ultimo minuto. La Gelmini si è paragonata a Obama, arrivando all’assurdo di dire che anche lui ha lo stesso programma su scuola e università; dal discorso di Obama improntato sul dialogo e sulla tutela delle minoranze, il parallelismo sembra oscuro. Berlusconi confessa di aver tifato per il neo eletto, ma non aveva detto di essere un estimatore di Bush? Sulla scia di Obama, sembra che i curatori dell’immagine del cavaliere e dei suoi ministri abbiano suggerito loro di apparire in pubblico con la pelle un po’ più scura. Che nasca da qui la tremenda gaffe di Berlusconi sull’abbronzatura di Obama? Il cavaliere e la sua truppa potranno scegliere tra vari trattamenti: settimana bianca, lampada o fondo tinta. Attenzione, però, a evitare livelli melanici eccessivi, altrimenti rischieranno di essere presi di mira dai sottoprodotti nostrani del Ku Klux Klan o da picchiatori neri (anche loro, ma non per via della pelle), di recente molto disinibiti a Roma. Li abbiamo visti in tenuta da guerra liberi di fomentare scontri e picchiare ragazzini delle scuole medie, con la “benevolenza” di alcuni membri delle forze dell’ordine. Un gruppo di camerati ha anche compiuto una spedizione punitiva alla sede Rai di via Teulada a Roma contro la trasmissione “Chi l'ha visto”, rea di aver trasmesso gli scontri di Piazza Navona e dintorni.

A parte questi gravi episodi, si segnalano le solite incongruenze del Governo sull’Università. Berlusconi parla di apertura su Scuola e Università, ma viene subito smentito dal portavoce Bonaiuti. La Gelmini avverte che i concorsi universitari non saranno bloccati, ma poi impone senza discussione un decreto lampo che ferma concorsi già banditi, con domande gia' inviate e commissari quasi eletti, in attesa di nuove procedure che non muteranno affatto le stato delle cose Per i concorsi da Ordinario, ad esempio, rimaranno sempre 5 commissari estratti a sorte (?) tra una rosa di 12. E’ come se durante una partita di calcio, cambiassero le regole tra primo e secondo tempo. Si tratta di un’operazione discutibile e al limite della legalità, ma tutto fa brodo per congelare i concorsi e utilizzare il budget magari per salvare qualche banche e dei poveri amici finanzieri in affanno.

Nel decreto della Gelmini si parla tra l’altro di premialità, ma invece di una vera e sana valutazione basata su standard internazionali, i criteri prioritari per definire gli Atenei virtuosi a cui destinare le risorse saranno il bilancio e il rapporto docenti-studenti. Bel modo di distinguere tra fannulloni e gente che lavora! Facoltà e Dipartimenti con alta produttività scientifica ne faranno le spese, se appartenenti ad Atenei “poco virtuosi”: bell’esempio di meritocrazia al rovescio. Intanto “l’onda” cresce in attesa della manifestazione del 14 novembre.

sabato 1 novembre 2008

La nostra petizione contro i DL Tremonti (ora legge 133), a favore di una seria valutazione di università e ricerca ha raggunto quasi 6000 adesioni!

La petizione sta avendo un grande riscontro di adesioni! Ringraziamo tutti quelli che hanno firmato.

Chi non l'avesse ancora fatto può consultare il testo andando all'indirizzo web http://www.petitiononline.com/ricerca1/petition.html.

Diffondetela!