giovedì 18 febbraio 2016

Salviamo la Ricerca Italiana, la petizione lanciata da Giorgio Parisi

Firmate la petizione lanciata da Giorgio Parisi!
Sono state superate le 36000 firme, un risultato eccezionale e non è ancora finita! https://www.change.org/p/salviamo-la-ricerca-italiana

lunedì 15 febbraio 2016

Dopo i tagli, le valutazioni folli:è esplosa la rivolta dei docenti. Articolo di Raffaele Simone

Pubblichiamo un interessante articolo di Raffaele Simone sulla protesta contro la VQR, apparso il 4 febbraio scorso sul Fatto Quotidiano
http://www.uspur.it/wp-content/uploads/2016/02/Rassegna-Stampa-uspur-05-Febbraio-2016.pdf

La protesta contro la VQR si allarga

http://www.roars.it/online/giuseppe-mingione-perche-boicotto-la-vqr/
http://www.roars.it/online/prese-di-posizione-dei-candidati-rettore-a-pisa/
http://www.roars.it/online/una-protesta-che-a-me-sembra-fondata-anche-oscar-giannino-solidale-con-il-blocco-della-vqr/

Lettera di Giorgio Parisi a Nature

La lettera di Giorgio Parisi a Nature diventa una petizione per sollecitare i finanziamenti alla ricerca di base in Italia.
https://www.change.org/p/commissione-europea-e-governo-italiano-salviamo-la-ricerca-italiana
TESTO DELLA LETTERA
Chiediamo all’Unione Europea di spingere i governi nazionali a mantenere i fondi per la ricerca a un livello superiore a quello della pura sussistenza. Questo permetterebbe a tutti gli scienziati europei - e non solo a quelli britannici, tedeschi e scandinavi - di concorrere per i fondi di ricerca Horizon 2020.
In Europa i fondi di ricerca pubblici sono erogati sia dalla Commissione Europea che dai governi nazionali. La Commissione finanzia principalmente grandi progetti di collaborazione internazionali, spesso in aree di ricerca applicata, e i governi nazionali finanziano invece - oltre che i propri progetti strategici - programmi scientifici su scala più piccola, e operati “dal basso”.
Ma non tutti gli Stati membri fanno la loro parte. Per esempio l’Italia trascura gravemente la ricerca di base. Oramai da decenni il CNR non riesce a finanziare la ricerca di base, operando in un regime di perenne carenza di risorse. I fondi per la ricerca sono stati ridotti al lumicino. I PRIN (progetti di ricerca di interesse nazionale) sono rimasti inattivi dal 2012, fatta eccezione per alcune piccole iniziative destinate a giovani ricercatori.
I fondi di quest’anno per i PRIN, 92 milioni di Euro per coprire tutte la aree di ricerca, sono troppo pochi e arrivano troppo tardi, specialmente se paragonati per esempio al bilancio annuale dell’Agenzia della Ricerca Scientifica Francese (corrispondente ai PRIN italiani) che si attesta su un miliardo di Euro l’anno. Nel periodo 2007-2013 l’Italia ha contribuito al settimo “Programma Quadro” europeo per la ricerca scientifica per un ammontare di 900 milioni l’anno, con un ritorno di soli 600 milioni. Insomma l’incapacità del Governo Italiano di alimentare la ricerca di base ha causato una perdita di 300 milioni l’anno per la scienza italiana e quindi per l’Italia.
Se si vuole evitare che la ricerca si sviluppi in modo distorto nei vari Paesi europei, le politiche nazionali devono essere coerenti tra di loro e garantire una ripartizione equilibrata delle risorse.

Università e Ricerca: “Servono investimenti, non azioni occasionali”

Pubblichiamo di seguito un articolo firmato dal sottoscritto e dal collega Giorgio Prantera e uscito su "Unità Online" il 17 ottobre 2015.
Per leggere l'articolo originale andare al link seguente:http://www.unita.tv/opinioni/universita-e-ricerca-servono-investimenti-non-azioni-occasionali/
Matteo Renzi in diretta televisiva ha promesso “una misura ad hoc per portare in Italia 500 professori universitari anche italiani che insegnano all’estero”, un annuncio inatteso che merita alcune doverose considerazioni. Molti stati europei programmano in anticipo piani di spesa dettagliati e investono percentuali significative del PIL in ricerca perché si tratta di un elemento cardine per la crescita di un paese. In Italia, al contrario, la ricerca pubblica vive da anni in assenza di risorse e di programmazione. A fronte di uno dei più bassi investimenti mondiali in rapporto al PIL, dal 1996 al 2010 l’Italia è comunque all’ottavo posto nel mondo per produzione scientifica. Una sorta di miracolo definito “italian paradox”. Immaginiamo quali risultati potremmo ottenere, se avessimo dei finanziamenti adeguati.
Nel 2008, Renato Dulbecco, premio Nobel per la medicina, ammoniva: “Un paese che investe lo 0,9% del PIL in ricerca, contro la media del 2% degli altri, non può essere scientificamente competitivo, né attirare a sé o trattenere i suoi ricercatori migliori”. Da allora è andata sempre peggio. I tagli sempre più pesanti e indiscriminati, inflitti da tutti i recenti governi ai fondi di finanziamento ordinario degli atenei e il blocco del turn over deciso dalla premiata ditta Gelmini & Co, hanno portato al collasso definitivo del sistema universitario e della ricerca. Sono aumentate le tasse universitarie, sono diminuiti gli iscritti e dal 2008 al 2014 il numero di professori universitari è calato drasticamente, oggi è il 25% in meno della media europea, come segnalato dal CUN.
I finanziamenti per la ricerca di base hanno toccato il fondo. Il caso paradigmatico è quello dei Progetti di Ricerca di Interesse Nazionale (Prin) istituiti nel 1996 dal governo Prodi, che rappresentavano il principale supporto per la ricerca pubblica. Da un budget di 137 milioni di euro destinati nel 2003 alle 14 aeree disciplinari, dopo nove anni, grazie alla spending review del governo Monti, si è arrivati al minimo storico di 38 milioni di euro! Un’elemosina e un insulto alla professionalità di migliaia di ricercatori che nei casi migliori hanno racimolato solo briciole. Infine, il governo Letta, invece di rimediare a tale scempio, ha addirittura cancellato il bando Prin 2013 e da allora non se n’è più sentito parlare.
In tali frangenti “di doman non c’è certezza” e molti ricercatori giovani e non sono stati spinti a cercar fortuna altrove. Ora è giusto dare ai bravi la possibilità di rientrare in Italia, ma degli altri, quelli che sono rimasti in Italia a mandare avanti la baracca sottopagati e in condizioni avverse, che ne facciamo? Il problema, quindi, non è solo far rientrare gli emigrati meritevoli o attirare quelli stranieri (ci chiediamo quali saranno questi temerari), ma soprattutto bloccare l’emorragia di talenti: dobbiamo trattenerli con azioni concrete e investimenti degni di questo nome, non con proclami spesso disattesi dalla realtà dei fatti e dall’instabilità dei governi.
Caro Renzi, per risollevare università e ricerca italiana non servono azioni occasionali, ma interventi incisivi e di ampio respiro. E’ necessario un programma di investimenti sostanziosi e duraturi per il reclutamento, la progressione delle carriere e il finanziamento della ricerca pubblica. Solo così, garantendo nuove risorse e certezze a tutti, giovani e meno giovani, si potrà essere ancora più competitivi nel panorama internazionale. Per tornare finalmente “a riveder le stelle” e uscire da questo inferno quotidiano, vedendo riconosciute qualità e competenze, senza dover più improvvisare, senza più vivere alla giornata.
Una nota finale: mentre da noi i governi tagliano la ricerca, in USA il budget del National Institutes of Health, che finanzia vari settori della ricerca, è passato dai 28 miliardi di dollari del 2008 ai 32 del 2013! Che in Italia la soluzione per uscire dal guado non sia quella di reclutare una nuova classe politica dall’estero?