giovedì 31 gennaio 2008

Sempre sul "caso" del Papa alla Sapienza, un bell'articolo di Stefano Rodotà.

I PRINCIPI DEL DISCORSO PUBBLICO
Repubblica, 22 gennaio 2008

L´analisi delle vicende complesse, dunque l´esercizio della virtù della riflessione e della distinzione, diviene sempre più difficile. Questa difficoltà è cresciuta nel caso della visita del Papa all´università “La Sapienza”. Senza ricorrere alla parola “laicità”, e ricordando anche argomentazioni già proposte, vorrei sottolineare quali dovrebbero essere i principi di un discorso pubblico in una società che vuol essere democratica.
Per cominciare. Il furore polemico ha abusato di due argomenti, che chiamerò volterriano e iran-americano. Ridotta a slogan o a giaculatoria, è stata ripetuta la nota massima di Voltaire – «non condivido le tue idee, ma mi batterò perché tu possa manifestarle» (su questo ha scritto bene Giovanni Valentini). Ma, se durante una delle settimanali udienze del Papa uno dei partecipanti alza la mano, pretende di tenere un discorso e viene giustamente invitato a tacere, il canone volterriano è violato? Se, all´apertura di un congresso di partito, subito dopo la relazione del segretario, il leader di un altro partito pretende di parlare e giustamente gli viene negata la parola, siamo di fronte alla censura, all´imposizione di un bavaglio? Faccio queste domande, retoriche, non per ridimensionare la portata del principio indicato da Voltaire, ma per ricordare che si deve sempre tenere conto del contesto e, soprattutto, che quel principio non può essere applicato selettivamente. Non ci si può battere per il diritto di parola di Benedetto XVI e negarlo a Marcello Cini e Carlo Bernardini. La correttezza del discorso pubblico esige il rispetto del principio di parità.
Veniamo all´altro argomento. Più d´uno, per mostrare l´inaccettabilità delle pretese dei critici dell´invito al Papa, ha voluto ricordare che la Columbia University ha addirittura invitato il Presidente iraniano Ahmadinejad. Si può invitare un dittatore, un negatore dell´Olocausto, e non il Pontefice? Vediamo come sono andati i fatti. All´annuncio della visita sono partite molte critiche accademiche e una forte protesta degli studenti. Prima di dar la parola ad Ahmadinejad il presidente dell´università, Lee Bollinger, ha criticato con estrema durezza, al limite della maleducazione, le sue idee e posizioni. Dopo il discorso del Presidente iraniano, i presenti gli hanno rivolto molte domande ed hanno commentato anche pesantemente le sue risposte. Quel che è accaduto a New York, dunque, prova esattamente il contrario di quel che sostenevano quanti hanno richiamato quel fatto. L´università si fonda, in ogni momento, sul confronto e sul dialogo. La correttezza del discorso pubblico esige il rispetto del principio della veritiera descrizione dei fatti.
Proprio in omaggio a questo principio, bisogna ricordare che, pur essendo vero che alcune decisioni universitarie sono di competenza del Rettore e del Senato accademico, questo non vuol dire affatto che queste decisioni non possano essere oggetto di pubblica critica da parte di ogni professore o studente, né che la loro libertà di critica sia limitata alla scelta di non partecipare all´evento sgradito. L´università non è una organizzazione rigidamente gerarchica, né il Rettore è assistito dal privilegio dell´infallibilità. Peraltro, proprio la storia recente delle inaugurazioni dell´anno accademico alla Sapienza conosce critiche e contestazioni, in qualche caso accolte, agli inviti che si aveva in mente di fare. Non è esclusa la possibilità di invitare qualcuno a parlare senza contraddittorio, ma è indispensabile valutare attentamente le conseguenze di questa scelta. La correttezza del discorso pubblico esige che ogni vicenda venga valutata nel preciso contesto in cui si è svolta.
È rivelatore, peraltro, il modo in cui sono stati giudicati i 67 professori firmatari della lettera al Rettore, con la quale veniva chiesta le revoca dell´invito a Benedetto XVI. Sono stati definiti “professorucoli”, si è detto che «i ragli degli asini non arrivano in cielo». La libertà accademica e la libertà di manifestazione del pensiero, dunque, dovrebbero arrestarsi di fronte al principio di autorità? Quale “licenza de li superiori” sarebbe necessaria per ottenere il permesso di parlare di chi sta in alto? La correttezza del discorso pubblico esige il rispetto del principio che tutti possano parteciparvi.
La critica ai professori firmatari della lettera e alle posizioni estreme di alcuni gruppi di studenti ha poi assunto toni dichiaratamente politici ed ha determinato anche ulteriori travisamenti della realtà. Si è descritto quel che è accaduto con parole come “veto”, “censura”, “cacciata”, “bavaglio”. Non insisto sul dato formale, ma tutt´altro che irrilevante, di una decisione presa in assoluta autonomia dal Papa, di cui non discuto motivazioni e finalità. Ma non si può chiedere ai firmatari di uniformarsi ad un principio di “opportunità” che, come ben vediamo in molti settori a cominciare da quello dei mezzi d´informazione, può facilmente diventare autocensura. La democrazia si nutre di opinioni non solo diverse, ma anche sgradevoli, delle quali si può ben discutere il merito, ma di cui non si può negare la legittimità. E le posizioni degli studenti devono essere giudicate con lo stesso metro, eccezion fatta per gli aspetti di ordine pubblico, peraltro ritenuti tali da non provocare preoccupazioni, secondo le dichiarazioni del ministro dell´Interno. Comunque, gli aspetti politici della vicenda devono essere analizzati con criteri anch´essi politici. La correttezza del discorso pubblico esige che non si mescolino i piani delle valutazioni.
La politica, allora. È indubitabile, ormai, che non tanto la linea scelta dal Pontefice, quanto i concreti modi di attuarla, vadano ben al di là della dimensione pastorale e teologica. Il Pontefice si comporta ed è percepito come un leader politico. Questa non è una conclusione malevola. Basta ricordare una sola vicenda, quella legata al duro intervento del Papa sulle condizioni di Roma in occasione dell´udienza concessa ai rappresentanti degli enti locali del Lazio. Quelle dichiarazioni hanno determinato una trattativa “diplomatica” che, in linea con le peggiori abitudini della politica italiana, ha poi portato a denunciare le “strumentalizzazioni” e le “deformazioni” delle parole del Papa, entrate con prepotenza nel dibattito politico.
Questo porta ad una considerazione più generale. Si insiste nel dire che la religione deve essere riconosciuta anche nella sfera pubblica. Ma che cosa significa questa affermazione? Che nello spazio pubblico la religione ha uno statuto privilegiato o che, entrando in quello spazio, ogni religione partecipa al discorso pubblico con le proprie importanti caratteristiche, ma in condizioni di parità? Nel 1989 la Corte costituzionale ha scritto che «il principio supremo della laicità dello Stato è uno dei principi della forma di Stato delineata nella Carta costituzionale della Repubblica», sancendo così l´eguaglianza che accomuna tutte le religioni e, insieme, la loro sottoposizione a quel principio fondativo della convivenza democratica. Nella sfera pubblica tutti i soggetti devono accettare la logica del dialogo, della critica ed anche della contestazione.
Altrimenti l´insidia del temporalismo si fa concreta. Non a caso da studiosi autorevoli e da politici cattolici consapevoli dei rischi di questa deriva sono venute analisi rigorose del rischio di un ritorno del “Papa re” e di un vero uso strumentale della religione, simboleggiato da quella sorta di “chiamata alle armi” dei cattolici a manifestare in piazza San Pietro in una occasione squisitamente liturgica. La correttezza del discorso pubblico esige una presenza costante del canone della democrazia.
Ha fatto bene Alberto Asor Rosa a ricordare la feconda stagione di dialogo tra credenti e non credenti nella Cappella universitaria della Sapienza, dove ebbi la fortuna di discutere con un grande biblista, Luis Alonso Schoekel. Aggiungo il mio personale ricordo dell´invito che rivolsi a monsignor Clemente Riva perché venisse a parlare nel mio corso, e del suo emozionante dialogo con gli studenti. Altri tempi, altre persone, altra politica? Una stagione irripetibile? Spero e voglio credere di no, perché continuo ad avere molte occasioni di dialogo con un mondo cattolico che tuttavia fatica ad essere presente nella sfera pubblica. Altrimenti dovremmo tornare alle amare parole di Arturo Carlo Jemolo, che nel 1963 così scriveva: «Questa Italia non è quella che avevo sperato; questa società non è quella che vaticinavo… l´affermarsi e il dissolversi delle tavole del liberalismo; l´inattesa realizzazione di uno Stato guelfo a cento anni dal crollo delle speranze neoguelfe».

mercoledì 30 gennaio 2008

Il fallimento di Mussi, l'imperatore "nudo", di Patrizio DImitri

La crociata politico-mediatica contro i docenti della Sapienza ci ha distolto dai mali che affliggono l’università e la ricerca scientifica. Ora che il governo è caduto per la “vendetta dei Mastelloidi”, è buio pesto. L’ex- ministro di università e ricerca, Fabio Mussi, si dedicherà a tempo pieno alla “sinistra democratica” o sarà riesumato da un ipotetico governo tecnico? A parole Mussi è stato bravo, ma giudicando dai risultati, miseri anche per Luciano Modica, che è stato il suo sottosegretario, temo che l’università e la ricerca non siano mai state in cima ai suoi pensieri. Poco ha fatto per evitare i tagli delle finanziarie 2006 e 2007 che hanno desertificato le già magre risorse economiche e umane, mentre le tante, troppe, riforme annunciate venivano fagocitate dalla loro stessa enfasi normativa, creando il tragico stallo che conosciamo bene.

Purtroppo per lui, Mussi è stato il primo responsabile delle inefficienze burocratiche e delle lentezze pachidermiche del suo Ministero. Perché, affrontare contemporaneamente una massa di problematiche complesse, quando sarebbero stato preferibile assegnare delle priorità? Gli esempi che riepilogano il fallimento non mancano: la tanto sbandierata agenzia di valutazione di università e ricerca (Anvur) è ancora in fieri e così pure le nuove e controverse norme per il reclutamento dei ricercatori; i concorsi per professore e ricercatore sono stati bloccati e si è scelto in extremis di bandirne altri con le vecchie e criticate norme, in attesa che sia approvato (se mai lo sarà) il nuovo regolamento; il nuovo fondo di investimento per la ricerca scientifica e tecnologica (First) non si sa quanti e quali fondi avrà. Senza scordare il mancato riordino della docenza, il tentativo di revisione dei corsi di dottorato e l’ultima preziosa "la perla" del “docente equivalente”. Per non parlare, poi, del ritardo con cui è uscito il bando per i progetti di ricerca di interesse nazionale (Prin); un fatto molto grave che ha complicato ulteriormente il lavoro di tanti di noi, creando sensazioni di incertezza e sconforto nel mondo della ricerca pubblica. Sensazioni consolidate dal fatto che, secondo voci di corridoio, i progetti non sarebbero ancora stati assegnati ai revisori, a ben 3 mesi dalla scadenza della presentazione delle domande! Ricordo bene che Luciano Modica, in una riunione tenutasi ad Ottobre scorso, presso Il Dipartimento di genetica e Biologia Molecolare della Sapienza, disse che l’obiettivo era espletare tutta la procedura di valutazione delle domande per l’inizio del 2008, una dichiarazione di intenti che già allora, vista la nota “efficienza” della macchina ministeriale, suonava come una barzelletta!

Adesso che il governo è caduto, che ne sarà di tutte le riforme abbozzate e rimaste sospese nel sonnolento limbo della burocrazia ministeriale? Il timore è che sia stato tutto tempo sprecato. E pensare che Salvatore Settis, direttore della Scuola normale di Pisa, non più di 20 giorni fa, aveva criticato il governo “impotente” e di fatto assolto Mussi. Settis arrivava addirittura ad attribuire a Mussi “grande lungimiranza” e non è nuovo a questi elogi nei confronti del ministro. Su Repubblica del 5 settembre 2007 aveva già scritto: “ Il Corriere ha pubblicato un articolo di Mussi che non lascia dubbi sulla sua determinazione ad agire” e ancora " E' lecito sperare nella cultura e nell'intelligenza politica del ministro Mussi". Purtroppo per noi, mai parole furono meno lungimiranti, visti i risultati.

Non potendo rispettare gli impegni del governo su università e ricerca, Mussi per coerenza, avrebbe dovuto dimettersi, come annunciato in un intervista del 27 luglio 2006 al Manifesto. Disse allora l’ex ministro "Nessuno si aspetta miracoli e abbondanza, ma se l'Italia, di fronte all'esplosione globale della spesa in ricerca e formazione superiore, annuncerà provvedimenti di definanziamento della ricerca, si tratterebbe di un'altra politica rispetto a quella con cui il centrosinistra si è presentato agli elettori. La si potrebbe fare, ma in quel caso ci vorrebbe un altro ministro.”

Invece, Mussi è rimasto e ha preferito vedere una falsa realtà, vivere alla giornata, lanciando proclami trionfalistici e grotteschi. Uno dei suoi tanti cavalli di battaglia è stato il famoso “Patto per l’Università e la ricerca” firmato insieme a Padoa-Schioppa a settembre scorso. Una sorta di “patto col diavolo”, visto che ha avuto l’unico effetto di “dannare” l’Università. Infatti, l’ultimo comunicato della CRUI ci dice che la situazione è drammatica: “Tenuto conto dei tagli, della mancanza del finanziamento per l’edilizia, degli oneri per gli incrementi stipendiali, il Fondo incrementale di 550 milioni di euro, al netto del riallineamento tra il 2007 e 2008, si è letteralmente volatilizzato e il saldo finale diventa addirittura negativo”.

In realtà, come nella fiaba “I vestiti nuovi dell’Imperatore” di Andersen, Mussi era “nudo” (solo metaforicamente, per nostra fortuna), ma ha fatto credere a se stesso e agli altri di indossare vesti magnifiche. "Ormai devo condurre questa parata fino alla fine". E così si drizzò ancora più fiero, mentre i ciambellani lo seguivano reggendo uno strascico che non c'era”.

giovedì 24 gennaio 2008

IL PAPA E GALILEO, di Walter Tocci

Un bell'articolo di Walter Tocci, pubblicato di recente dal Manifesto.

La tempesta mediatica su La Sapienza dovrebbe essere l’occasione per un dibattito di merito sui rapporti tra scienza e religione. Finora ha prevalso il metodo: fiumi d’inchiostro e ore di televisione sul valore del confronto tra opinioni diverse, principio sacro che era inutile scomodare perché assolutamente non toccato dalla vicenda. Non si trattava di organizzare un dibattito col papa, questo sì sarebbe stato grave impedirlo, ma di decidere l’opportunità che la Sapienza scegliesse il papa per rappresentare l’inizio dell’anno accademico, cosa che si può condividere o meno. E a chi avrebbero dovuto rivolgersi i critici, se non al proprio rettore? Oppure si vuole sostenere che non avevano diritto di criticarlo perché c’era di mezzo il papa? E per quali altri autorità varrebbe questo principio sospensivo?
Risibile poi è la lamentela sulla libertà di parola del Vaticano, quando è risaputo che da noi gode di una presenza esuberante in tutti i media, come in nessun altro paese europeo. Senza dimenticare che il vittimismo è da sempre un sofisticato strumento della propaganda cattolica, non sempre usato a proposito, come conferma la manifestazione in San Pietro.
Invece di stare a discutere se c’è la libertà di discutere, in assenza di alcun impedimento a discutere, sarebbe meglio discutere del merito. C’è un problema tra scienza e religione o è solo un ghiribizzo dei firmatari? Non solo esiste, ma tenderà ad aggravarsi nel secolo appena cominciato.
Come mai sono stati proprio i fisici ad aprire la polemica? Il processo a Galileo costituisce un passaggio decisivo nella formazione di un fisico sia sul piano epistemologico sia su quello morale. È naturale quindi una sensibilità maggiore rispetto ad altre discipline, soprattutto se ad attivarla contribuiscono gli attacchi vaticani alla scienza moderna. Fanno torto a papa Ratzinger gli apologeti sia di destra sia di sinistra nel non vedere la novità, non solo rispetto al Concilio, ormai già consumata da tempo, ma anche rispetto al suo predecessore Giovanni Paolo II, il quale arrivò, non dimentichiamolo, a chiedere perdono per il processo a Galileo. Quell’atto era per il papa polacco complementare all’accorata richiesta di riconoscimento nella Costituzione europea delle radici cristiane della civiltà occidentale. Coerentemente, egli valorizzava la linfa vitale di quelle radici, ma nel contempo si faceva carico delle sofferenze e delle divisioni provocate dalla Chiesa, portandone il peso nel modo penitenziale che da sempre ha fondato la forza spirituale del Cristianesimo. Si può condividere o meno quella tesi, si può partecipare o meno a quella tensione morale, ma certo si è trattato di un capolavoro lasciato in eredità ai suoi successori. In esso Ratzinger introduce uno squilibrio, quando chiede a gran voce il riconoscimento del primato della Chiesa, ma senza ammetterne i peccati, riprendendo anzi l’argomento di Bellarmino, anche lui sofisticato intellettuale europeo in quel tempo, sulla conciliazione tra ragione e fede, che poi si tramuta facilmente in una sottomissione dell’una all’altra, a causa della diversa forza performativa di quei due ambiti dello spirito.
Quando fede e ragione si identificano diventano entrambe più povere. Mi sia permesso di esprimere innanzitutto la preoccupazione per la stessa religione cristiana subordinata in tal modo ad un’esigenza ellenizzante di coerenza conoscitiva, col rischio di perdere un filone irrazionale certo non secondario nella sua storia, a cominciare da San Paolo che annuncia Cristo come scandalo per i giudei e follia per i pagani. La questione non è solo teologica, poiché in una società secolarizzata la rinnovata voglia di ortodossia porta la Chiesa a svolgere un ruolo di divisione della comunità civile. In una democrazia matura i principi non negoziabili possono essere solo quelli scritti nella Carta costituzionale, altrimenti diventa difficile la condivisione di uno spirito pubblico. Ed è incredibile che ciò accada proprio oggi, quando siamo diventati tutti liberali, quando non ci sono più le divisioni ideologiche novecentesche, né la guerra fredda.
Il papa buono, Giovanni XXIII, indicò la via, con la sintesi che possono avere solo le grandi profezie, introducendo cioè la distinzione tra l’errore da condannare e l’errante da amare. Oggi nella pastorale di Ruini suonerebbe blasfema quella distinzione. L’errore è diventato una clava contro gli erranti. Allora la Chiesa seppe svolgere una funzione pacificatrice, ampiamente riconosciuta, grazie alla quale aumentò la sua credibilità morale e politica, aiutando l’Italia a superare, un secolo dopo Porta Pia, qualsiasi retaggio anticlericale. Poi quel clima si è rotto e certo non sono stati i settanta professori di La Sapienza a compiere il primo strappo. Non sarebbe male se Oltretevere gli spiriti più meditativi sollevassero la domanda su eventuali responsabilità della Chiesa per il clima di scontro creatosi in Italia, poco adatto ai sentimenti di pacificazione della religione cristiana.
Sento l’obiezione legittima che non si può insegnare il Cristianesimo ai cardinali. E’ vero, e tuttavia si può sperare che se apprezzano tanto le lodi degli atei devoti siano altrettanto disponibili a rispettare le critiche mosse dall’interno di una sensibilità religiosa.
Inoltre, nell’accordo tra fede e ragione a soffrire di più è la seconda, e il conflitto si farà più aspro nel XXI secolo. I fisici, in ragione della loro Bildung, lo hanno avvertito per primi, ma non riguarderà la loro scienza. Il conflitto tra Bellarmino e Galilei verteva su ciò che è esterno all’uomo fino alle sconfinate dimensioni dell’universo. Ma domani il dissidio riguarderà come siamo fatti in quanto uomini e donne, la natura vivente che ci costituisce.
Già oggi è diventato difficile dare una definizione condivisa della natura umana, già se ne danno diverse e inconciliabili, eppure è più probabile che di tutte queste sorrideranno i nostri pronipoti. La rivoluzione della scienza della vita elaborerà nuovi paradigmi conoscitivi, produrrà innovazioni tecnologiche inimmaginabili, avrà impatti sociali e mentali di proporzioni mai viste prima.
D’altronde il concetto di natura umana è mutato nel corso della storia, seppure più lentamente. La Chiesa cattolica pretende di darne una definizione fissata per sempre e in questo curiosamente sposa un certo illuminismo di tradizione giusnaturalista, ma nel contempo rinnova un’antica radice della sua intolleranza pretendendo di certificare per tutti, anche per i non credenti, ciò che si considera vita. E’ un’antica pretesa, peraltro quasi sempre fallita, di bloccare ciò che è inevitabilmente fluido nella trasformazione culturale. Ma è lo stesso sviluppo della teologia a smentire questa fissità, se solo mezzo secolo fa la concezione cattolica della vita era centrata sulla persona piuttosto che sull’embrione. La confusione del Vangelo con la biotecnologia è ovviamente un prodotto molto recente e non tra i più solidi dell’esegesi cristiana.
Questi problemi saranno forse il banco di prova più impegnativo della democrazia, della sua capacità non solo di creare ordine nei rapporti sociali, ma anche di regolare la vita e la morte. Qui si giocherà il destino stesso della democrazia come regola di decisione tra diversi, come risultato di conflitti che generano riconoscimenti. Vincerà anche questa sfida, come tante altre in passato, la democrazia se, per dirla con Bobbio, manterrà la promessa di alimentare al suo interno le energie per il proprio sviluppo. Se al contrario passerà l’idea che la democrazia è un orcio vuoto, una mera procedura, come spesso anche noi di sinistra abbiamo preferito credere, allora vinceranno quelli che intendono riempirla con il buon vino d’annata, con i valori dei bei tempi andati, con la religione civile e pagana, ma rassicurante anche per chi non crede.
Di fronte alla mutazione ventura la Chiesa è più avanti di tutti. Con il suo fiuto millenario ha capito che la sfida decisiva è sulla scienza del XXI secolo e ha già collocato le sue forze in campo. Tra le organizzazioni non scientifiche essa è quella che spende maggiori energie organizzative, ideologiche e comunicative per gestire i risultati della ricerca scientifica. In questo è molto più preparata dei non credenti. D’altronde ci vuole poco. Basta ricordare il recente referendum sulla legge della procreazione assistita vinto dalla semplicità della propaganda cattolica contro l’afasia della comunicazione laica.
Ma lo squilibrio di forze è molto più profondo. E’ ormai pienamente sviluppato un grappolo di rivoluzioni scientifiche che minano alle fondamenta le basi epistemologiche della modernità seicentesca. Il mondo di Galileo è oggi superato non dalle frasi di Ratzinger, ma dai nuovi paradigmi delle scienze della vita, della mente, dell’informazione e della materia, i cui maggiori successi non sono riconducibili al concetto e al ruolo della legge scientifica della fisica classica.
All’epoca la rivoluzione galileiana non rimase confinata alla descrizione della natura, ma ebbe impatti in tanti altri campi del sapere. La ragione moderna venne organizzata prima come legge scientifica e poi come legge dello Stato, la Costituzione fondamentale, e poi ancora come legge filosofica, le categorie dell’intelletto. Tutto il sistema di pensiero moderno venne modellato su assiomi fondamentali da cui derivare per deduzione le verità particolari.
Questa mirabile costruzione è travolta perché le nuove scienze hanno progredito enormemente, senza che la cultura sia stata in grado di fornirne una comprensione autentica. Oggi usiamo furiosamente le conseguenze tecnologiche di queste scienze, ma non si vedono in giro gli Hobbes e i Kant capaci di proporci nuovi ordini politici e filosofici per capire davvero la rivoluzione di internet o della post-genomica. E’ una di quelle fasi storiche in cui la potenza di trasformazione sopravanza la capacità di regolare i processi. C’è un’asimmetria tra la forza della scienza e la debolezza del pensiero. In questo scarto nasce l’inquietudine contemporanea e il senso di smarrimento, quella sottile contraddizione dello Sciamano in elicottero, per riprendere un testo di Marco D’Eramo, che mescola nella confusa postmodernità sia l’innovazione sia la regressione culturale.
Questo squilibrio apre la strada a due esagerazioni. Da una parte la sicumera di alcuni settori scientifici e soprattutto tecnologici, i quali, sapendo di essere più avanti, spargono le illusioni di magnifiche sorti e progressive, riproponendo tra tutte le culture scientifiche il più consunto positivismo, anche se ormai molto invecchiato rispetto alla complessità dei loro saperi.
Dall’altro estremo la Chiesa cattolica si offre di sanare lo squilibrio con la subordinazione della ragione alla fede. Si parla di integralismo, fondamentalismo, oscurantismo, ma sono tutte parole fuori gioco. Il lessico distratto dei laici è inadeguato a descrivere l’ambizioso progetto ecclesiastico. Esso opera dentro la grande contraddizione contemporanea, avendone avvertito per primo la portata e il significato, con l’ambizione di guidare il futuro conservando il passato, come seppero fare i grandi papi della Controriforma.
Il problema quindi alla fine non è Ratzinger, ma l’assoluta impreparazione della cultura laica di fronte a queste sfide. Il continuo scivolare verso la facile risposta del libero confronto di opinioni, anche senza avere alcuna opinione. La rimozione di domande forti a favore di banali problemi di metodo. La paura di un vera polemica con la religione, dimenticando che i frutti migliori della cultura occidentale sono quasi tutti concetti religiosi secolarizzati, cioè proprio il frutto di questo scontro di idee, che oggi potremmo gestire più serenamente non essendoci più né roghi né inquisizioni. La polemica religiosa quando è creativa di tensione culturale, rispettosa della democrazia e ispirata ad un avanzamento dello spirito pubblico è sempre una risorsa per la civiltà di un popolo.
Al contrario, mi ha colpito l’unanimità della politica laica nel condannare i poveri professori di scienze, nel prendere sdegnosamente la distanza da loro, nell’affannarsi a chi la sparava più grossa per non correre il rischio di essere accusati di anticlericalismo. In quell’aderire compatta alle ragioni del Vaticano la cultura laica è apparsa in tutta la sua debolezza, come un pugile suonato che, allo stremo delle forze, abbraccia l’avversario nella speranza di non cadere al tappeto. E gran parte della classe politica mentre quasi si commuoveva per Mastella trovava l’unanimità per rampognare i professori.
Così in questo bizzarro Paese, in cui ogni giorno agiscono indisturbati mafiosi, inquinatori, evasori fiscali, arricchiti a spese del bene comune, politici corrotti e imbroglioni di ogni risma, in questa babilonia di illegalità e di arroganza, sono finiti sul banco degli imputati un gruppo di scienziati. Conosco personalmente gran parte di loro, sono ricercatori che danno prestigio all’Italia nel mondo nonostante il cattivo esempio di gran parte della classe dirigente, sono formatori di giovani brillanti costretti ad andarsene perché qui la ricerca non si può fare, sono persone miti e anche un po’ ingenue al contrario di molti furbacchioni che li hanno accusati, sono dipendenti dello Stato che dedicano tutte le loro energie dalla mattina alla sera ad educare i nostri giovani non solo alla scienza, ma alla democrazia e al bene comune. Sono eroi civili di un Italia che neppure sa di averli come risorsa per il futuro. Sono stati messi all’indice come cattivi maestri. Mai come oggi la povera Italia avrebbe tanto bisogno di questi cattivi maestri.

Walter Tocci

20-1-2008

Solidali con voi: Adesioni alle lettera di solidarietà per i docenti della Sapienza.

Sul sito Solidali con voi (http://solidaliconvoi2008.blogspot.com/) potrete leggere la lettera di solidarietà nei confronti dei docenti delle Sapienza messi "al rogo" dalla campagna inquisitoria politico-mediatica. Chi è d'accordo può mandare la sua adesione via e-mail all'indirizzo: solidaliconvoi@libero.it.

A differenza della petizione rivolta al presidente Napolitano, le adesioni sono "riservate" a tutti i docenti e ricercatori di ruolo e precari italiani che lavorano nelle università e nei centri di ricerca, anche all'estero.

Fino ad oggi sono state raccolte più di mille adesioni!

lunedì 21 gennaio 2008

Petizione a favore dei docenti della Sapienza

Chi vuole firmare la petizione a favore dei docenti della Sapienza sottoposti all'inquisizione mediatica può andare alla pagina seguente: http://www.petitiononline.com/386864c0/petition.html

domenica 20 gennaio 2008

Giorgio Parisi ricostruisce la storia della lettera al Rettore e la bagarre che ne è scaturita.

PROVIAMO A RIEPIOLOGARE I FATTI
di Giorgio Parisi

In questi ultimi giorni una lettera scritta a metà di novembre da 67 docenti dell’università della Sapienza, fra cui il sottoscritto, in cui s’invitava il rettore a riconsiderare l’invito al Papa per parlare all’inaugurazione dell’anno accademico, è finita sulle prime pagine di tutti e giornali.

Per leggere tutto il commento di Parisi andate all'indirizzo: http://www.sinistra-democratica.it/universit/articoli-1

I satanisti della Sapienza a Radio Maria.

Sempre su You Tube, andate a guardarvi il video esilarante di Don Livio (http://www.youtube.com/watch?v=Va533YjJ84I), un prete che parla a Radio Maria e denuncia la presenza di sette sataniche alla Sapienza!

Papa e Sapienza: Le dichiarazioni di Stefano Rodotà a "Ballarò" su You tube.

Andate su http://www.youtube.com/watch?v=sWEoAjhFKfg&feature=related

Bravo Rodotà! La conclusione di Tremonti "siamo in un paese dove il Papa non può parlare" è assurda, ridicola, non ho parole!

sabato 19 gennaio 2008

Atei devoti nel giardino del Papa, di Eugenio Scalfari.

Un articolo di Eugenio Scalfari su Repubblica, dove si tratta in una prospettiva più ampia il problema scaturito dalla mancata visita del Papa alla Sapienza.

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Atei devoti nel giardino del Papa, di Eugenio Scalfari.

NON CI sarebbe, secondo me, alcun bisogno di tornar a scrivere sull'agitato rapporto tra laici e cattolici, tra laicità sana o malata, tra spazio pubblico e spazio privato.

Questi e altri temi strettamente connessi sono infatti della massima importanza per il rafforzamento delle regole di convivenza sociale in uno Stato democratico, ma si evolvono e maturano con il passo lento dei processi storici. È quindi, o almeno così sembra a me, inutile e forse dannoso dibattere quotidianamente temi che sono già chiari alla coscienza di molti anche se le risposte di una società complessa non sono univoche ma plurime.

Capisco la voglia di farle convergere, capisco anche il legittimo desiderio dei credenti e di chi li guida a spingere i non credenti verso le loro convinzioni di fede per guadagnar loro la salvezza, ma capisco meno la petulanza ripetitiva che talvolta accoppia lo slancio missionario con un'attività pedagogica fondata sulla ferma credenza di chi depositario della verità considera come inferiori intellettualmente e spiritualmente quanti dissentono dal suo zelo religioso o ne accettano alcuni principi ispiratori respingendone la precettistica che l'accompagna.

Il dibattito sulla presenza-assenza del Papa all'inaugurazione dell'anno accademico della Sapienza ha rinfocolato alcune differenze sui modi di pensare e sui comportamenti pratici che ne derivano.
Il Vicario di Roma, cardinal Camillo Ruini, ha lanciato da giorni l'appello ad un'adunata di massa all'"Angelus" di oggi in piazza San Pietro. L'adunata ha preso inevitabilmente la forma politica che è propria delle manifestazioni di massa, dove è più il numero che la qualità a determinare gli esiti di una politica "muscolare".


Così bisogna di nuovo affrontare quei temi, precisare il significato di gesti e di parole, capire, se possibile, il senso di ciò che accade. La storia dello Stato italiano è fortemente intrecciata con quella della Chiesa. In nessun altro Paese questo intreccio è stato tanto condizionante e la ragione è evidente: siamo il luogo ospitante del Capo della cattolicità. Siamo stati e siamo il "giardino del Papa", ci piaccia o no. Questa condizione ha determinato in larga misura la nostra storia sociale e nazionale. Nel positivo e nel negativo, nelle azioni degli uni e nelle reazioni degli altri. Le persone ragionevoli non dovrebbero mai dimenticare queste condizioni di partenza, ma spesso purtroppo accade il contrario.

* * *

Metto al primo posto del mio ragionare l'incidente della Sapienza. Su di esso si è già espresso il nostro direttore ed io concordo interamente con lui: una laicità malata ha suggerito ad un gruppo di docenti e di studenti comportamenti di contestazione in sé legittimi ma divenuti oggettivamente provocatori. Di qui la necessità di garantire la sicurezza dell'insigne ospite, di qui la possibilità di tumulto tra opposte fazioni, di qui infine il fondato timore che Benedetto XVI dovesse parlare nell'aula magna mentre sotto a quelle finestre i lacrimogeni e i manganelli avrebbero potuto esser necessari: spettacolo certamente insopportabile per il "Pastor Angelicus" che predica pace e carità.

La contestazione "stupida", tuttavia, non è nata dal nulla ed è l'effetto di varie cause, anch'esse ricordate nell'articolo di Ezio Mauro: l'invito incauto del Rettore nel giorno, nell'ora e nel luogo dell'inaugurazione dell'anno accademico. Non dovrebbe essere un evento mondano e mediatico bensì l'indicazione delle linee-guida culturali e dei problemi concreti della docenza e degli studenti.

Il Rettore, evidentemente, ha un altro concetto, voleva l'evento. E l'ha avuto col risultato di dividere l'Università, la società, la cultura, le forze politiche, in una fase estremamente delicata della nostra vita pubblica.

Un esito catastrofico da ogni punto di vista, di cui il Rettore dovrebbe esser consapevole e trarne le conseguenze per quanto lo riguarda. Ci saranno tra breve le elezioni del nuovo Rettore. Quello attuale vinse la precedente tornata per una manciata di voti. Questa volta si presenterà come quello che voleva che il Papa parlasse alla Sapienza e ne è stato impedito. Un "asset" elettorale di notevole effetto.

Mi auguro che il Rettore non se ne renda conto, ma in tal caso la sua intelligenza risulterebbe assai modesta. Se se ne rende conto, il sospetto di un invito con motivazioni elettoralistiche acquisterebbe fondatezza.
Per fugarlo non c'è che un rimedio: protestare la sua ingenuità e non presentarsi in gara. I guelfi e i ghibellini nacquero anche così.

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La risposta della gerarchia, guidata ancora da Ruini, è stata l'adunata di stamattina. Mentre scrivo non so ancora quale sarà l'esito quantitativo ma prevedo una piazza gremita e un mare di folla fino al bordo del Tevere. È un evento da salutare con piena soddisfazione? È una "serena manifestazione di affetto e di preghiera" per testimoniare l'amore dei fedeli al Santo Padre? Certamente è una manifestazione più che legittima.

Certamente le presenze spontanee saranno robustamente rinforzate dalle presenze organizzate, treni e pullman sono stati ampiamente mobilitati senza risparmio di mezzi dal Vicario del Vicario. La motivazione è esplicita: dimostrare al Papa l'amore del suo gregge dopo l'offesa subita.

Se questa non è una motivazione politica domando al Vicario del Vicario che cosa è. Se questo non avrà come effetto di acuire la tensione degli animi, la lacerazione d'un tessuto già usurato e logoro, ne deduco che il Vicario è privo di intelligenza politica. Ma siccome sappiamo che invece ne è ampiamente provvisto, ne consegue che il Vicariato di Roma si prefigge di accrescere la tensione degli animi e di annunciare venuta l'ora di rilanciare il partito guelfo che ha sempre avuto in cuore.

La Segreteria di Stato vaticana è dello stesso avviso? La Chiesa è unanime in questo obiettivo?

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Abbiamo celebrato giovedì scorso in Senato il senatore, lo storico, il fervido credente Pietro Scoppola, da poco scomparso, alla presenza di molti cattolici che hanno condiviso il suo pensiero e la sua fede e si propongono di continuare nell'impegno da lui auspicato.

Scoppola aveva scavato a fondo nella storia dei cattolici italiani e nell'atteggiamento di volta in volta assunto dalla gerarchia e dal magistero papale. Distingueva il popolo di Dio dalla gerarchia; sosteneva che la gerarchia è al servizio del popolo di Dio e non viceversa.

Mi ha fatto molto senso vedere, proprio alla vigilia del mancato intervento del Papa alla Sapienza, la messa celebrata da Benedetto XVI nella Sistina col vecchio rito liturgico rinverdito a testimoniare la curva ad U rispetto al Concilio Vaticano II: il Papa con la schiena rivolta ai fedeli e la messa celebrata in latino.
Qual è il senso di questa scelta regressiva se non quello di ribadire che il mistero della trasformazione del vino e del pane in sangue e carne di Gesù Cristo viene amministrato dal celebrante senza che i fedeli possano seguire con gli occhi e in una lingua sconosciuta ai più? Il senso è chiarissimo: l'intermediazione dei sacerdoti non può essere sorpassata da un rapporto diretto tra i fedeli e Dio. Il laicato cattolico è agli ordini della gerarchia e non viceversa. Lo spazio pubblico è fruito dalla gerarchia e - paradosso dei paradossi - dagli atei devoti che hanno come fine dichiarato quello di utilizzare politicamente la Chiesa.

* * *

Si continua a dire, da parte della gerarchia e degli atei devoti, che i laici-laici (come vengono chiamati i credenti veramente laici e i non credenti che praticano la laicità democratica) vogliono relegare la religione nello spazio privato delle coscienze.

Questa affermazione è falsa. Chi pratica la laicità democratica sostiene che tutte le opinioni dispongono legittimamente di uno spazio pubblico per esporre e sostenere i loro modi di pensare.

La libertà religiosa è una, e direi la più importante, da tutelare sia nel foro della coscienza che in quello pubblico. Non mi pare che difetti quello spazio, mi sembra anzi che la gerarchia lo utilizzi pienamente anche a scapito di altre religioni e massimamente di chi non crede e potrebbe in teoria reclamare uno spazio più confacente.

Ma noi non abbiamo obiettivi di proselitismo. Facciamo, come si dice, quel che riteniamo di dover fare, accada quel che può. Tra l'altro cerchiamo di amare il prossimo e riteniamo che la predicazione evangelica contenga grande ricchezza pastorale quando non venga stravolta in strumento di potere, il che è accaduto purtroppo per gran parte della storia del Cristianesimo da parte non del popolo di Dio ma della gerarchia che l'ha guidato con l'obiettivo del temporalismo e del neo-temporalismo.

La lettura della storia dei Papi insegna molte cose e, quella sì, andrebbe fatta nelle scuole pubbliche. Papa Wojtyla ha chiesto perdono per alcuni di quegli episodi, ma non poteva certo chiederlo per tutti: avrebbe certificato che per secoli e secoli la gerarchia si è messa sul terreno della politica, della guerra ed anche purtroppo della simonia piuttosto che praticare nello specifico il messaggio di pace e di povertà della predicazione evangelica.

* * *

Ci saranno modi e occasioni per riprendere questo discorso che tende a chiarire ciò che non sempre è chiaro.

Mi restano due osservazioni da fare. Giornali di antica tradizione laica sembrano aver perso la bussola e si schierano apertamente accanto agli atei devoti.
Di atei devoti la storia d'Italia è purtroppo gremita.
L'ultimo nella fase dell'Italia monarchica fu Benito Mussolini. In tempi di storia repubblicana gli atei devoti fanno ressa e la faranno anche oggi alle transenne di piazza San Pietro.

Questa prima osservazione mi conduce alla seconda.
L'onorevole Mastella nella sua conferenza stampa di Benevento, mentre gli grandinavano addosso pesanti provvedimenti giudiziari, ha fatto come prima affermazione quella relativa alla sua presenza oggi a piazza San Pietro.

Dopo averla fatta si è guardato fieramente intorno con sguardo lampeggiante e ha scandito: "Io sono con il Papa e andrò a testimoniarlo in piazza".
Ne ha pieno diritto. Personalmente mi auguro che i pretesi reati di Mastella, di sua moglie, del suo clan, si rivelino per una montatura. Ma il problema è sul comportamento politico e morale di Mastella, di sua moglie del suo clan.

Un comportamento clientelare e ricattatorio che non ha scuse di sorta, rappresenta una deviazione molto grave dalla democrazia. Non è assolutamente valida la giustificazione proveniente dal fatto che si tratta di un male diffuso.

Negli stessi giorni della "mastelleide" abbiamo assistito anche alla "cuffareide": il popolo non di Dio ma di Totò Cuffaro si è radunato in preghiera nelle chiese della Sicilia; il "governatore" ha pianto di gioia e si è fatto il segno della croce quando ha ascoltato la lettura della sentenza dalla quale è stato condannato a cinque anni di reclusione (che non farà) e all'interdizione dai pubblici uffici che non rispetterà.

Il capo del suo partito, Casini, e il capo della coalizione di centrodestra, Berlusconi, si sono immediatamente complimentati con lui.

Che cos'ha di cattolico il comportamento di Clemente Mastella e di Totò Cuffaro? Nulla. Anzi è il contrario dello spirito cristiano.

Fossi nei panni del Vicario del Vicario farei discretamente e con mitezza sapere a Mastella, a Cuffaro, a Berlusconi, a Casini, che i loro comportamenti sono a dir poco imbarazzanti per la Chiesa e forse farebbero bene a non presenziare manifestazioni di testimonianza cristiana. Ma se poi si venisse a sapere che anche Camillo Ruini è un ateo devoto? Del resto sarebbe l'ultimo in ordine di tempo di un'interminabile sfilata di papi, cardinali, vescovi, abati, che tradirono - devotamente - il messaggio celeste del Figlio dell'uomo, da essi rappresentato.

Le liste di proscrizione di Gasparri il tollerante.

Maurizio Gasparri di An ha pubblicato sul suo sito l'elenco dei docenti che hanno firmato la lettera al Rettore della Sapienza per esprimere la loro critica all'invito del Papa. Gasparri parla di "un'intolleranza inaudita" dei docenti, ma non pubblica il testo della lettera per dare alla gente la possibilità di leggerla e giudicarla liberamente.

Il tollerante Gasparri vuol anche mandare in galera i docenti che hanno espresso un lecito dissenso in una lettera privata al rettore e arriva a livelli osceni quando afferma: "E’ stato ripugnante vedere nel telegiornale tossici e terroristi alla Sapienza per festeggiare la rinuncia del Papa” “E’ gente da mandare in galera insieme ai professori che li hanno guidati. I loro nomi vanno divulgati affinchè l’Italia sappia chi è nemico della libertà e promotore dell’odio e del terrore”.

Bisogna far presente a Gasparri, che i docenti firmatari della lettera sono persone serie e competenti, i loro nomi sono noti a livello internazionale e presenti su note riviste scientifiche, mentre l'ex-ministro riesce a mettersi in evidenza solo con bieche provocazioni e all'estero è un povero sconosciuto. Quello che dice poi è falso: i toni della "famosa" lettera erano pacati, non c'è opposizione al Papa, si ritiene solo inopportuna la sua partecipazione per una lectio magistralis all'inaugurazione dell'anno accademico. Comunque non si preoccupi Gasparri, potrà allargare la sua lista di proscrizione, sono in arrivo altre migliaia di firme in sostegno dei colleghi messi al rogo da lui ed altri "democratici".

D'altronde cosa potevamo aspettarci da una mente così "aperta" come quella di Gasparri ? Non dimentichiamoci si tratta di uno dei tanti nipotini di Giorgio Almirante, il "gran pensatore" fascista che nel 1938 firmò il regio decreto legge per la difesa della razza nella scuola italiana e contribuì alla emanazione delle leggi razziali che discriminarono gli ebrei in Italia.



Il testo presente sul sito di Gasparri

LA SAPIENZA' CONTRO IL PAPA: ECCO I NOMI DEI PROFESSORI FIRMATARI DEL PUBBLICO APPELLO CONTRO IL PONTEFICE

La rinuncia di Papa Benedetto XVI all’intervento in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico dell’università La Sapienza è scaturita dall’iniziativa di 67 professori dell’Ateneo romano che, manifestando un’intolleranza inaudita, hanno rivolto un pubblico appello contro il Pontefice. Ritengo utile che gli italiani possano ricordare i nomi di questi professori che del resto, avendo assunto una pubblica iniziativa, saranno lieti di essere ulteriormente messi in primo piano.

Chi sono i veri intolleranti?

Inserisco un mio articolo pubblicato venerdì su Epolis-Roma a commento della vicenda Sapienza-Papa. Ribadisco e perfeziono qualche concetto che ho già espresso nel blog, mi perdonerete:repetita iuvant!


Era una Sapienza blindata quella di giovedì 17 gennaio 2008, circondata dalla polizia, strade limitrofe chiuse, accesso limitato al personale e a studenti muniti di tesserino, un clima da colpo di stato. La lettera inviata al Rettore da alcuni colleghi della Facoltà di Scienze che mettevano in discussione la presenza del Papa all’inaugurazione dell’anno accademico della Sapienza, è stata strumentalizzata scatenando una crociata mediatica senza precedenti che ha azzittito le voci fuori dal coro. Gli unici che hanno potuto esprimersi in modo da ripristinare una certa equità di giudizio sono stati Stefano Rodotà e Paolo Flores D’arcais.

Il pontefice “martire” ha deciso di non partecipare all’evento e..apriti cielo: un unico grande partito trasversale di politici e giornalisti vomita livore antiscientifico e al grido di “il Papa non si discute si ama”, vuole mandare al rogo i firmatari della lettera, i nuovi eretici che hanno “azzittito” il povero Pontefice. Gasparri di AN chiede epurazioni, forse anche purghe o deportazioni. Il “cardinal Veltroni” dice "Mai può accadere che l'intolleranza tolga la parola”. “Inammissibili manifestazioni di intolleranza” commenta Napolitano. “Per colpa di qualche decina di sprovveduti, mediocri docenti, impiegati frustrati della docenza, apprendisti stregoni di cose più grandi di loro, l’Italia annuncia al mondo che la sua civiltà e tolleranza è scesa a questo”, vaneggia in modo offensivo e rozzo il direttore di Europa, Stefano Menichini. “Gesto di intolleranza e paura”, enfatizza con toni catastrofici Ezio Mauro su Repubblica. Ma quale intolleranza e paura? Nessuno dei docenti, gente seria e competente, ha sbarrato le porte della Sapienza al Papa, è stato solo espresso un lecito dissenso. Non c’è ostracismo a priori verso il pontefice, che potrà visitare la Sapienza in qualsiasi altra occasione, per un contraddittorio aperto. Nessuno gli ha messo la mordacchia, trattamento riservato dalla Chiesa agli eretici, ricordate Giordano Bruno? Il Papa, infatti, diffonde il suo “verbo” urbi et orbi, come e quando vuole, intervenendo a ruota libera su qualsiasi argomento. Ma l’inaugurazione dell’anno accademico di un’università statale è un evento laico e tale deve rimanere. Il dissenso è quasi scontato, se si invita a tenere la lectio magistralis un papa che non ha mai fatto mistero di posizioni eufemisticamente “chiuse” sulle questioni scientifiche, dalle cellule staminali all’evoluzione biologica. Il Rettore avrebbe dovuto prevedere gli effetti del suo maldestro invito, ma se voleva diffondere l’evento, c’è riuscito alla grande.

Stranamente, del violento sdegno bipartisan esploso in questi giorni non c’è mai traccia quando si tratta di denunciare corruzione e nepotismo. Chissa perchè? Purtroppo, viviamo in un paese di stampo borbonico, dove si muore ancora sul lavoro e i governanti hanno sempre ragione. Non si può più dissentire nei confronti del potere, ma solo allinearsi, a capo chino e subire in silenzio. Siamo tornati indietro di secoli.

venerdì 18 gennaio 2008

Lo striscione dei precari: "Precari traditi: Mussi bugiardo. Più ricercatori, meno politici."

Inserisco il testo di un documento dei precari di Chimica della Sapienza pubblicato dal Messaggero.

Precari della ricerca

L'invito del Rettore al Pontefice a partecipare all'inaugurazione dell'anno accademico della Sapienza Università di Roma ha innescato una serie di eventi che ha riempito la cronaca italiana di questi giorni, mascherando i veri problemi dell'università che avrebbero dovuto essere discussi in questa occasione. Noi siamo particolarmente interessati a porre in evidenza il problema annoso dei "precari della ricerca" dell'Università e denunciare la nostra delusione nei confronti del Ministro Mussi.

Noi precari della ricerca nell'Università siamo tanti, siamo quanti quelli strutturati (professori associati ed ordinari compresi), abbiamo contratti della tipologia più varia (co.co.co., co.co.pro., assegni di ricerca, borse di studio, ricercatori a tempo determinato) e svolgiamo una parte importantissima nell'attività di ricerca ed accademica. Il Governo nelle sue Finanziarie ci ha escluso dai processi di stabilizzazione, a differenza dei colleghi a tempo determinato che lavorano negli altri enti di ricerca nazionali: il ricercatore precario del CNR, dell'Enea o dell'ISS ha diritto al lavoro a tempo indeterminato, mentre il ricercatore precario dell'Università NO. Sospettiamo di essere lavoratori di serie B.

Abbiamo portato pazienza, del resto il Ministro Mussi ci ha promesso un piano di reclutamento straordinario da attuarsi secondo un nuovo regolamento, forse più meritocratico. Il problema è che il piano di reclutamento straordinario non ha niente di straordinario: i 20 milioni di euro stanziati per il 2007 si traducono in circa 500 posti che diventano un migliaio grazie al (necessario) cofinanziamento delle università, a fronte di un numero di precari stimato in decine di migliaia. Per scendere nel dettaglio, il piano di reclutamento straordinario ha concesso un totale di 52 posti (26 pagati dal Ministero + 26 cofinanziati dall'Ateneo) a La Sapienza, da distribuire su circa 200 settori scientifico-disciplinari, per rispondere alle esigenze di migliaia di aspiranti ricercatori. Le cifre stanziate per il reclutamento sono evidentemente risibili e ben lontane dall'essere sufficienti, pur considerando i 120 milioni di euro promessi per il 2008 e 2009.

Al problema dei numeri si somma quello dei modi. I concorsi ancora si effettuano secondo la vecchia normativa, con buona pace della meritocrazia. Il nuovo regolamento, data la complessità delle commissioni che prevede, non si sa quando effettivamente verrà attuato. Parallelamente a questo, il Ministro aveva bloccato i concorsi per professore associato ed ordinario, in nome della necessità di modificare anche questa normativa concorsuale e per garantire che le Università investissero sull'assunzione di nuovi ricercatori. Questo aveva ricevuto il nostro plauso, ma purtroppo il Ministro ha presto ceduto, ed ecco che, nonostante non sia stato neanche discusso un nuovo regolamento, dal 1 gennaio 2008 è stata riaperta la possibilità di bandire concorsi per professore.

Questa mattina sopra l'edificio di Chimica dell'Ateneo romano, era affisso uno striscione di denuncia cui la stampa non ha probabilmente dato peso: "Precari traditi: Mussi bugiardo. Più ricercatori, meno politici" (http://www.repubblica.it/2006/05/gallerie/esteri/sapienza-inaugurazione/13.html). Il problema del precariato nell'Università esiste ed è grave, in misura maggiore che in qualsiasi altra istituzione pubblica. Noi non abbiamo alcuna rappresentanza sindacale, non abbiamo rappresentanza negli organi collegiali degli atenei, tanto meno abbiamo il potere di attirare l'attenzione dell'opinione pubblica come è recentemente accaduto per gli autotrasportatori. Quest'ultimo episodio ha dimostrato ancora una volta, come nella necessità di reperire fondi, sia facile e indolore tagliare sulla ricerca. Ci rivolgiamo alla stampa, nella speranza di trovare spazio per le nostre rivendicazioni. Cordiali saluti.

Precari della Ricerca del Dipartimento di Chimica
Sapienza Università di Roma

(17 gennaio 2008)

giovedì 17 gennaio 2008

La Sapienza blindata.

Per tutta la mattinata e nel primo pomeriggio la Sapienza è stata blindata, circondata dalla polizia, strade limitrofe chiuse, accesso limitato al personale e agli studenti iscritti con tesserino identificativo: un clima da colpo di stato. L'inaugurazione mediatica ha avuto successo, la visibiltà della Sapienza non è mai stata così grande. Il Rettore sarà soddisfatto.

Le dichiarazioni di Guarini, Mussi e Veltroni.

Riporto di seguito alcune dichiarazioni del Rettore, del vescovo Mussi e del cardinal Veltroni, nel corso dell'inaugurazione a porte chiuse dell'anno accademico della Sapienza. Rimango allibito per le parole di Mussi e Veltroni. Si legge, inoltre, che "non ci sarà nessun provvedimento contro i firmatari della lettera contro la visita del papa". Beh, ci mancherebbe altro! Allora l'anno prossimo chiameremo alla Sapienza direttamente la buonanima di Pinochet!


Rettore: "Nessun provvedimento contro docenti firmatari"

Non ci sarà nessun provvedimento contro i firmatari della lettera contro la visita del papa da parte del rettore dell'università La Sapienza di Roma. Lo ha confermato lo stesso Renato Guarini, al termine della cerimonia di inaugurazione dell'Anno Accademico.
"L'università ha un grande clima di libertà - ha spiegato Guarini - e il rettore non può intervenire. Coloro che hanno firmato la lettera saranno giudicati dagli studenti e dai colleghi. Se un docente fa valutazioni scientifiche errate viene giudicato dai suoi studenti, che sono i migliori giudici".

Rettore: "Distinguere dissenso da intolleranza"

Le "manifestazioni di intolleranza" vanno "accuratamente distinte dall'espressione di un legittimo dissenso, seppur minoritario". Lo ricorda, riferendosi alle proteste degli scorsi giorni per la venuta del papa alla sapienza, il rettore Guarini nel suo discorso per l'inaugurazione dell'anno accademico 2007/2008.


Mussi contro gli studenti: "Contesto le manifestazioni in atto"

"Contesto le manifestazioni in atto". Così il ministro dell'Università e Ricerca Fabio Mussi ha commentato, al termine della cerimonia inaugurale dell'anno accademico all'Università La Sapienza le proteste messe in atto nel corso della mattinata da gruppi di studenti all'esterno dell'Aula Magna. Il ministro ha anche invitato gli studenti ancora all'esterno dell'università alla non violenza. "Il problema - ha detto Mussi - è del clima che si vuole creare; il problema è se si vuole anche duramente dialogare o se si vogliono invece creare condizioni di impossibilità al confronto e al dialogo".

Mussi: "Far parlare il papa non è attentato a laicità"

"Quello che dice il papa può ben essere criticato, ma non è un attentato al principio di laicità il fatto che il papa possa prendere la parola in questa sede, per un intervento e non per una lectio magistralis a nome dell'ateneo e da ministro della Repubblica, che ha difeso con intransigenza il carattere laico delle istituzioni pubbliche sotto la sua responsabilità, confermo il mio rammarico per il fatto che si siano create le condizioni che lo hanno spinto a rinunciare". Così il ministro dell'università Fabio Mussi interviene durante l'inaugurazione dell'anno accademico 2007-2008 della Sapienza.

Veltroni: "Mai intolleranza deve togliere la parola"

"Mai può accadere, per nessun motivo, che l'intolleranza tolga la parola a qualcuno. Men che meno se si tratta di discorsi sui diritti universali e se si tratta di Papa Benedetto XVI, un punto di riferimento culturale, spirituale e morale per milioni di persone". Lo ha detto il sindaco Walter Veltroni intervenendo all'inaugurazione dell'anno accademico della Sapienza.

Veltroni: "Inaccettabile ciò che è accaduto"

"Ciò che è successo, per un democratico, è inaccettabile". Lo ha detto il sindaco Walter Veltroni, riferendosi alla rinuncia del papa ad intervenire alla Sapienza, aprendo il suo discorso nella cerimonia di inaugurazione dell'anno accademico dell'Ateneo. Parole accolte con un applauso dalla platea riunita in aula magna

Le ragioni dei laici, di Paolo Flores D’Arcais.

Finalmente! L'articolo di Flores D’Arcais su Repubblica di oggi riporta un po’ di equità in questa vicenda strumentalizzata in modo assurdo da politici e media. Una stretta di mano all'autore che mi piacerebbe conoscere.

LE RAGIONI DEI LAICI

Caro direttore, posso esprimere la mia perplessità per l´unanime concerto politico e mediatico che giudica il regnante pontefice vittima della prevaricazione e della intolleranza di un "laicismo fondamentalista"? Prevaricazione che impedirebbe al Papa di parlare e perfino di muoversi liberamente nella sua città?
Certo, un viaggiatore che arrivasse per la prima volta in Italia, alle lettura dei giornali in aereo si farebbe l´idea che da noi la Chiesa cattolica è perseguitata, e che un forsennato laicismo ha messo al suo supremo Pastore la mordacchia. Ma soggiornando per qualche settimana, e informandosi ogni sera da un diverso telegiornale, scoprirebbe con stupore che Joseph Ratzinger è libero di parlare, eccome, e che anzi è di fatto l´onnipresente editorialista dei telegiornali pubblici e privati, che riprendono ogni sua dichiarazione, importante o meno che sia, con enorme e compunto rilievo.
Ma all´Università gli hanno impedito di aprire bocca, si dirà. Proviamo a stare ai fatti. Il Magnifico Rettore e la maggioranza del Senato Accademico decidono di invitarlo all´inaugurazione dell´anno accademico, momento simbolico per eccellenza per la scienza e il sapere (come l´inaugurazione dell´anno giudiziario per la giustizia). Non è chiaro se in quanto Papa Benedetto XVI o in quanto prof. Ratzinger, e se per una "lectio magistralis" o in qualità di "ospite" (le autorità accademiche della Sapienza accrediteranno via via versioni contrastanti). Un gruppo di docenti di Fisica esprime la sua contrarietà. Alcuni gruppi di studenti dichiarano che daranno luogo a concomitanti e pacifiche manifestazioni irridenti.
Ora, non è lecito che alcuni docenti giudichino sbagliata la scelta di invitare Papa Ratzinger come unico "ospite" all´inaugurazione dell´anno accademico? Se, poniamo, la scelta del rettore Guarini fosse caduta, anziché su Benedetto XVI, su – che so – Tariq Ramadan, da molti considerato un islamico antidogmatico e "aperto" e dunque interlocutore fondamentale per l´Occidente, personalmente io avrei protestato, e con me forse molti di quanti oggi giudicano inammissibile la protesta dei 67 scienziati romani per l´invito in esclusiva a Ratzinger. E qualche gruppo di studenti avrebbe indetto qualche manifestazione, più o meno folcloristica e irridente, contro le posizioni di Ramadan. E nessuno avrebbe parlato di inammissibile censura nei confronti di quest´ultimo.
E allora, cosa c´è di scandaloso o di prevaricatorio nelle posizioni espresse dal professor Marcello Cini e dai suoi autorevolissimi colleghi scienziati? Avrebbero voluto che invece di Ratzinger, quale "ospite" per l´inaugurazione dell´anno accademico fosse invitata una personalità più consona all´istituzione e alla cerimonia. Tutto qui.
Con buone argomentazioni, mi sembra. Entriamo nel merito. L´università è, come vuole la retorica, il "Tempio" della scienza e del sapere. Dell´autonomia del sapere, della ricerca libera da dogmi. Sarebbe logico pensare, come "invitato" (invitato unico, ripetiamolo) proprio a una grande personalità della scienza. Tanto più in un momento in cui, in tutto il mondo, il cuore della scienza contemporanea, il darwinismo, viene attaccato dai più diversi oscurantismi ideologici o religiosi. Sarebbe logico, insomma, pensare a una Levi Montalcini, che tiene alto il nome dell´Italia nel mondo, o, se si vuole una personalità straniera, a colui che, dopo la morte di Stephen Jay Gould, è il più noto darwinista vivente, Richard Dawkins.
Ma, si è obiettato, la Sapienza voleva un "ospite" che incarnasse l´impegno per la pace. In questo caso, più che mai, si davano scelte assai più congrue rispetto a quella del regnante pontefice, che su questo versante non ha fin qui avuto modo di illustrarsi significativamente (a meno che non si pretenda che un Papa è, ipso facto, la migliore delle icone di pace possibili). Dal Dalai Lama a scrittori come Yeoshua o Rushdie, da Noam Chomsky fino a Gino Strada (certamente l´italiano che nel mondo è considerato il più impegnato concretamente per la pace).
Non mi sembra perciò che abbia riscontri nella realtà l´immagine di un laicismo "fondamentalista" che vuole tappare la bocca al Papa, di fronte a una Chiesa davvero laica e aperta al dialogo con ogni ateismo contemporaneo. Perché il rettore Guarini non aveva affatto scelto la via del dialogo ma del monologo. L´invito era solo per il Papa, e ad avere spazio di "ospite" sarebbe stata solo la sua Parola. Se il sapere esige dialogo tra i diversi punti di vista (come si va ripetendo contro i 67 scienziati), perché il senato della Sapienza non ha invitato Joseph Ratzinger e Richard Dawkins? Perché un solo punto di vista?
Punto di vista, oltretutto (non facciamo finta di nulla) di un Papa e di una Chiesa gerarchica che si stanno segnalando per: a) un attacco sempre più sistematico al darwinismo (la cui scientificità non sarebbe accertata, vedi volume ratzingeriano appena uscito in Germania) e b) un attacco di inaudita violenza alle donne che abortiscono, la cui scelta viene equiparata esplicitamente all´omicidio.
Campagna, quest´ultima, sulla cui gravità e relative implicazioni mi sembra non ci si indigni abbastanza (o addirittura affatto). Eppure, se qualcuno accusasse il cardinal Ruini di essere un ladro e il cardinal Bertone di essere un assassino, sarebbe tutto uno stracciarsi di vesti (e fioccherebbero querele). Perché i prelati della Chiesa gerarchica e il loro Sommo Pontefice possono invece impunemente accusare tutte quelle donne del più grave dei reati del codice penale, di essere delle assassine? Se ricordassero loro che sono in peccato mortale, e rischiano le pene dell´inferno, nulla da ridire. Ma accusarle di essere "assassine" questo è ignobile e inammissibile, oltretutto da parte di chi, volendo impedire l´uso del preservativo contro l´Aids, è corresponsabile della morte di migliaia e migliaia di persone solo in Africa (persone, non embrioni).
Infine, l´accusa più incredibile, ma che ormai dilaga su ogni telegiornale: gli studenti erano pronti alla violenza per impedire al Papa di parlare. Eppure sia il premier Romano Prodi che il ministro dell´Interno Giuliano Amato hanno dichiarato che non sussisteva il minimo rischio per la sicurezza del Papa. Perché allora si continua con questa menzogna, con questo processo alle intenzioni?
Nessuno ha impedito al Papa di recarsi alla Sapienza e di essere, nell´Aula Magna, l´unico e monopolistico "ospite". Ma il Papa ha "rinunciato", cioè ha rifiutato, perché non ha accettato che, a qualche centinaia di metri di distanza, alcuni professori discutessero di scienza in termini antitetici ai suoi e alcuni studenti irridessero con maschere e cartelli ai suoi dogmi (attività sulla cui legittimità si spera nessuno abbia da obiettare, perché costituzionalmente garantite). Il Papa, insomma, pretendeva non solo il monopolio della ospitalità in Aula Magna ma anche l´unanime plauso dentro e fuori. Mancando tale unanimità, con perfetta astuzia politica ha preferito fare la grande rinuncia, e passare per vittima di una prevaricazione laicista inesistente. Visto che se ci sono posizioni che ormai stentano ad aver cittadinanza in tv, e al massimo trovano "asilo" in spazi marginali, sono quelle laiche (di credenti o atei che siano).

mercoledì 16 gennaio 2008

Lettera di Bruno Bertolini al Rettore della Sapienza

Pubblico la lettera di Bruno Bertolini di cui condivido il contenuto.


Caro Rettore,
ho letto con interesse le lettere inviate da Marcello Cini e poi dal gruppo dei fisici, e mi sento di aderire alle idee che le hanno motivate. Come biologo, però, ritengo di dover aggiungere un altro motivo di riflessione a quelli gia dibattuti.
E precisamente la posizione del Pontefice nei riguardi della teoria darwiniana dell’evoluzione. Questa, per i biologi, rappresenta la teoria fondamentale che informa lo status epistemologico e l’interpretazione della natura alla base della loro disciplina.
Nell’ajavascript:void(0)utunno 2006, nella residenza di Castel Gandolfo si è tenuto uno Schülerkreis, una riunione di ex allievi del professor Ratzinger, ora professori in diverse università, e di alcuni scienziati. Il tema del convegno era “Creazione ed evoluzione” (Schöpfung und Evolution), e le relazioni sono state pubblicate nel 2007.
Nel convegno il Papa è intervenuto più volte personalmente, e i suoi interventi sono puntualmente riportati in più pagine.
Il Pontefice aveva più volte manifestato il suo appoggio e il suo plauso alle sortite del Cardinale Schönborn in favore del neocreazionismo, ma in questa occasione si è espresso direttamente e personalmente:
“La teoria dell’evoluzione non è ancora una teoria completa e scientificamente verificata… in gran parte non è affatto dimostrabile per via sperimentale semplicemente perché noi non possiamo riprodurre in laboratorio 10.000 generazioni. Il che significa che ci sono rilevanti lacune nella verificabilità e nella falsificabilità sperimentale a causa dello sterminato periodo di tempo cui la teoria fa riferimento”, tanto per riportare qualche affermazione.
A parte la debolezza epistemologica e la mancanza di conoscenze fattuali delle affermazioni del Pontefice, la sua posizione si inserisce in quel movimento non tanto anti darwiniano, quanto piuttosto antiscientifico, che va sotto il nome di Neocreazionismo o, ammantandosi di una truffaldina pseudoscientificità, di Intelligent Design. Movimento che viene propagandato e diffuso a livello mondiale da gruppi politico-religiosi cattolici, protestanti e anche mussulmani.
Ora ci siamo, la Lectio magistralis è stata ribattezzata Discorso ed è stata separata dall’inaugurazione dell’Anno Accademico con tre asterischi, ma questo non toglie che proprio nella solenne occasione in cui si dovrebbe ribadire l’impegno della Sapienza per una scienza libera e laica, viene invitato chi di questa idea si dichiara avversario, e da posizioni dogmatiche non discutibili.
Con i miei migliori saluti
Bruno Bertolini

Un esempio di enfasi giornalistica catastrofica: come amplificare e drammatizzare i fatti.

L'idea sarà pure malata, ma anche Ezio Mauro, direttore di Repubblica, non sta tanto bene. Leggete e ridetene tutti, qui si è perso completamente il senso della realtà. Mauro dice che "qualcosa si è rotto, drammaticamente, sotto gli occhi del mondo". A me sembra che al mondo di questa storia e del nostro papa reso "martire" non interessi proprio nulla, vista l'assenza di reazioni dall'estero, almeno per ora.


Un'idea malata
di EZIO MAURO

SARA' un giorno che ricorderemo negli anni, il giorno in cui il Papa non parlò all'Università italiana per la contestazione dei professori e la ribellione degli studenti. Una data spartiacque per i rapporti tra chi crede e chi non crede, tra la fede e la laicità, persino tra lo Stato e la Chiesa. Fino a ieri, questo era un Paese tollerante, dove la forte impronta religiosa, culturale, sociale e politica del cattolicesimo coesisteva con opinioni, pratiche, culture e fedi diverse, garantite dall'autonomia dello Stato repubblicano, secondo la regola della Costituzione.

Qualcosa si è rotto, drammaticamente, sotto gli occhi del mondo. Il Papa deve correggere la sua agenda e cambiare i suoi programmi, per non affrontare la contestazione annunciata di un'Università che lo aveva invitato con il rettore e il senato accademico, ma lo rifiutava con una parte importante di docenti e studenti. Il risultato è un cortocircuito culturale e politico d'impatto mondiale, che si può riassumere in poche parole: il Papa, che è anche vescovo di Roma, non può parlare all'Università della sua città, in questa Italia mediocre del 2008.

Questo risultato, che sa di censura, di rifiuto del dialogo e del confronto, è inaccettabile per un Paese democratico e per tutti coloro che credono nella libertà delle idee e della loro espressione. È tanto più inaccettabile che avvenga in un'Università, anzi nella più importante Università pubblica d'Italia, il luogo della ricerca, del confronto culturale e del sapere, un luogo che di per sé non deve avere barriere né pregiudizi, visto che non predica la Verità ma la scienza e la conoscenza. È come se la Sapienza rinunciasse alla sua missione e ai suoi doveri, chiudendosi in un rifiuto che è insieme un gesto di intolleranza e di paura.


A mio parere il giorno d'inaugurazione dell'anno accademico non era la data più propria per invitare Benedetto XVI a tenere la sua lectio magistralis; e il rettore si corresse, perché quella lezione non suonasse come un programma e un indirizzo per l'anno dell'Ateneo. Ma è ridicolo chiamare in causa la scienza, come se potesse risultare coartata, offesa o limitata dalle parole del Pontefice, che è anche uno dei grandi intellettuali europei della nostra epoca. Ed è improprio e pretestuoso nascondersi dietro a Galileo, come se i torti antichi della Chiesa nel confronto e nello scontro con la scienza si dovessero pagare oggi, proprio sulla porta d'ingresso della Sapienza, senza tener conto del cammino fatto in tanti anni, e delle parole ancora recenti di Papa Wojtyla.

Spedito l'invito, e accettato, l'incontro si doveva fare senz'altro. Per gli studenti sarebbe stata l'occasione particolare di ascoltare direttamente le parole di un Papa che ha passato anni dentro l'Università, e che resta professore anche da Pontefice. I docenti avrebbero avuto la possibilità di interloquire, di fissare e ribadire i punti fermi dell'autonomia dell'insegnamento e della libertà di ricerca, se lo ritenevano opportuno e ne sentivano il bisogno. Il risultato sarebbe stato un confronto di opinioni pubblico e trasparente, di cui non si capisce come si possa aver timore, soprattutto se si è persone di cultura e si deve testimoniare la civiltà italiana ed europea - di cui le Università sono parte costituente - e l'importanza di un confronto di idee, prima ancora di ogni specifico sapere e di ogni scientifica conoscenza.

L'impressione è appunto quella di un cortocircuito, dove il gesto ha prevalso sul pensiero, una malintesa idea di autonomia si è stravolta in divieto, la libertà della scienza ha cozzato malamente contro la libertà di parola e la laicità si è ridotta ad una cupa caricatura di se stessa, preoccupandosi di limitare e restringere il perimetro dell'espressione invece di ampliarlo, garantendolo per tutti. È chiaro che l'Università di Stato di un Paese democratico non può rifarsi al pensiero religioso come fonte primaria e costitutiva del suo sistema culturale ed educativo, e nessuno lo ha chiesto o minacciato. Ma è altrettanto evidente - o dovrebbe esserlo per tutti - che l'Università non è e non deve essere un luogo chiuso alla circolazione delle idee, delle esperienze e delle testimonianze, e non può diventare espressione di un pensiero che pensa solo se stesso, rifiutando persone, idee, contributi e confronti.

L'unica spiegazione di questa prevalenza dell'irrazionale in una delle sedi proprie della ragione è la confusione italiana di oggi. E dentro questa confusione, l'uso improprio che si fa del confronto tra fede e laicità, e tra credenti e non credenti. Uno dei tratti distintivi dell'epoca è il ritorno della religione nel pensiero pubblico, da cui l'avevamo in qualche modo creduta fuori, per consunzione da un lato, e dall'altro per il raggrumarsi di un civismo post-ideologico attorno a capisaldi diversi da quelli della fede. Questo ritorno è un dato che contraddistingue tutto l'Occidente. In Italia la parola della Chiesa, così innervata nella tradizione, non ha mai smesso di farsi sentire. Ma non c'è alcun dubbio che da quasi un decennio la Cei ha acquistato un protagonismo e una reattività che hanno fatto della Chiesa un prim'attore in tutte le vicende pubbliche: una Chiesa che è insieme parte (perché così dicono i numeri) e Verità assoluta, pulpito e piazza, autorità e gruppo di pressione e chiede di determinare come mai nel passato della Repubblica i comportamenti parlamentari delle personalità politiche cattoliche, pretendendo pubblica obbedienza al magistero.

Vorrei essere chiaro: la Chiesa ha il diritto (che per il Concilio Vaticano II è un dovere) di testimoniare la sua dottrina su qualsiasi materia, anche di competenza dello Stato. Ma queste prese di posizione sono destinate alla coscienza dei credenti e a chi riconosce alla Chiesa un'autorità con cui confrontarsi, mentre le scelte politiche spettano ai laici, credenti e non credenti. Nella Chiesa si fa invece strada la convinzione secondo cui i non credenti non riescono a dare da soli un senso morale all'esistenza, perché solo la promessa riconosciuta dell'eternità dà un senso alla vita terrena. Ne deriva una riduzione di dignità dell'interlocutore laico, quasi una riserva superiore di Verità esterna al libero gioco democratico, una sorta di obbligazione religiosa a fondamento delle leggi e delle scelte di un libero Stato.

La reazione a questa nuova "potestas" che vorrebbe coinvolgere nel cattivo relativismo la democrazia, perché si basa sulla libertà di coscienza di tutti i cittadini, e vede ogni fede come un valore relativo a chi la professa, viene sempre più da un laicismo di maniera, un compiacimento per l'ateismo come contraddittoria religione della modernità, un risentito anticlericalismo, che credevamo confinato alla stagione adolescenziale della nostra Repubblica. Sopra questa nuova rissosa incomunicabilità ostile, manca il tetto condiviso di una Repubblica serenamente laica, cosciente dei valori della tradizione e delle religioni, capace di difendere la sua autonomia e la sua libertà garantendo la libertà di tutti.

I partiti hanno una responsabilità primaria. La destra, incapace di formulare una moderna cultura conservatrice in un Paese che non l'ha mai avuta, prende a prestito dal deposito di tradizione della Chiesa la parte scelta della precettistica, cercando così di procurare un'architrave ad un pensiero inesistente: col risultato di un'alleanza del tutto impropria tra la fede ultraterrena e una prassi politica ultramondana, paganeggiante e vagamente idolatra, alla ricerca entrambe della forza perduta. Per la sinistra, è ancora peggio. Non avendo coscienza di sé e della propria identità, incapace di difendere le ragioni che dal pensiero e dall'esperienza rinnovati potrebbero tranquillamente derivare, chiede soltanto - in ordine sparso di conversione, o almeno di gregarietà - di poter occupare uno strapuntino dentro il senso comune dominante, anche se è senso comune altrui: così, in un angolo, con la garanzia di non infastidire con il turbamento di un pensiero vagamente autonomo, per una volta netto, pronunciato in nome di una sinistra finalmente moderna, laica, europea e occidentale.

In mezzo si muovono felici gli atei devoti, a cui nessuno chiede di credere in Dio, di applicare anche a sé la convinzione che il cristianesimo non è una cultura, una filosofia, un galateo politico o sociale ma un "avvenimento", ma a cui nessuno impedisce di selezionare a piacere nel pensiero cristiano, nei Vangeli e persino nelle parole degli ultimi Papi i precetti, i divieti, le norme, rinunciando a tutto il resto: che è molto, che sarebbe importante, e che completerebbe l'immagine del Dio italiano, che così invece cammina monco, sanzionatorio e di parte, un Dio "cristianista", cioè ideologizzato e ridotto a strumento.

È il brutto panorama di un Paese in cui si cede troppo spesso alla tentazione sacrilega, come la chiamava Andreatta, di coinvolgere Dio nelle proprie scelte. Ma se questo è il quadro, ed è preoccupante, perché banalizzarlo nella caricatura dello scontro culturale della Sapienza, che si rivolge necessariamente nel contrario: una censura ad un Papa, nel nome malinteso di una laicità che invece dovrebbe ribellarsi ad ogni intolleranza, soprattutto nei confronti di fedi e credo religiosi? Non c'è alcun dubbio. Nell'Italia d'argilla del 2008, non è nel nome di un'idea forte che si è pensato di vietare al Papa la Sapienza, ma di un'idea malata. Una malattia che ha già fatto due vittime: la libertà di espressione, naturalmente, e la laicità: che già non godeva di buona salute, in questo sfortunato Paese.

Un vero esempio di oscenità (giornalistica).

Inserisco il testo di un articolo pubblicato ieri da Stefano Menichini, direttore di Europa. A mio parere è proprio un bell’esempio di oscenità giornalistica, un testo da prendere a modello per insegnare agli apprendisti come non si deve scrivere.

Ecco qualche perla della finezza giornalistica di Menichini: “Una pagina nera della storia italiana, una vergogna nazionale”. “Per colpa di qualche decina di sprovveduti, impiegati frustrati della docenza, apprendisti stregoni di cose più grandi di loro, l’Italia annuncia al mondo che la sua civiltà e tolleranza è scesa a questo”. “Mediocri docenti partoriti da una università fallimentare si sono incaricati di mettere in luce la fragilità di un sistema di idee falsamente progressista”.
Frasi offensive, piene di rancore e livore sospetto, volte a screditare degli colleghi seri ed onesti della Sapienza.
Non so chi abbia mai conferito la patente per esercitare il mestiere di giornalista a Menichini, ma con questo articolo è sceso in basso e ha reso un pessimo servizio all’informazione.


Il giorno nero in cui muore la laicità

STEFANO MENICHINI

Una pagina nera della storia italiana, una vergogna nazionale. Ora partiranno veglie, preghiere e atti di contrizione, ma è soprattutto la dignità pubblica e laica del paese che esce offesa, umiliata, come più in particolare la sua capacità di mantenere e garantire ordine e sicurezza.
Per colpa di qualche decina di sprovveduti, impiegati frustrati della docenza, apprendisti stregoni di cose più grandi di loro, l’Italia annuncia al mondo che la sua civiltà e tolleranza è scesa a questo: un papa non può parlare in un’aula magna, un professore non può esprimere le proprie idee, un intellettuale non può difendere le proprie convinzioni: sono estreme.
Inascoltabili. Insostenibili.
Sabato sul manifesto un uomo che ha avuto alcuni meriti, e tra questi l’insegnamento sulla non neutralità della scienza, sulla libertà di criticarla e di metterne a nudo i limiti, concludeva un peraltro esile ragionamento con la domanda: potrebbe accadere una cosa del genere fuori dall’Italia? Si riferiva all’intervento di un pontefice in un’aula magna, come fosse una circostanza da Stato della Chiesa. A Marcello Cini, che di quel rozzo appello a non far entrare Ratzinger all’università è stato sventurato primo firmatario, basterebbe ricordare che pochi mesi fa un vero fondamentalista, vero pericolo per l’umanità e vero reazionario come Ahmadinejad ha potuto liberamente parlare alla Columbia University. Con Cini, quanti difensori della laicità hanno perso la patente per parlare di libertà di pensiero, di parola, d’insegnamento? Speriamo che né il Vaticano né i suoi sostenitori vorranno trasformare questa brutta figura nazionale nell’occasione per ulteriormente alzare i toni della polemica. La Chiesa non ha bisogno di altri martiri.
Paradossalmente, ma non tanto, verrebbe da dire ai cattolici: ora lasciate per un po’ il mondo laico da solo, a sbrigarsi questa faccenda. Lasciateci da soli, a confrontarci con le nostre paure, insicurezze, pigrizie, col terrore che s’incrini la certezza delle magnifiche sorti e progressive dell’umanità.
Un papa che parla, una Chiesa che vuole farsi ascoltare e contare, e tutto un sistema va in tilt: non è un gran sistema. Viviamo in una società di costumi liberi, libertini, libertari, come poche altre volte s’è visto nella storia dell’umanità.
Consumi e progresso sono le uniche religioni veramente rispettate. Ma basta davvero poco, basta che il papa teologo di una fede minoritaria porti fino in fondo alcuni ragionamenti dirompenti, e che un intellettuale giornalista lo sostenga con vivacità di iniziativa politica, perché la debolezza venga tutta allo scoperto.
Mediocri docenti partoriti da una università fallimentare si sono incaricati di mettere in luce la fragilità di un sistema di idee falsamente progressista, tanto che ora se ne spaventano e prendono le distanze. Intelligenze declinanti come quella di Asor Rosa hanno recitato sulla scena pubblica, si spera per l’ultima volta, il funerale dell’antica forza del pensiero laico.
Se questa è la scienza e questi sono coloro che dovrebbero diffonderla e difenderla, ce ne sentiamo distanti, e già non è che ne avessimo una fiducia incrollabile.
Un’altra rifondazione s’impone. Ma non sappiamo davvero più da dove si possa cominciare

Arriva l'inquisizione mediatica: al rogo i nuovi eretici della Sapienza.

Si è scatenata una bagarre senza precedenti: tutti a impartire ipocrite lezioni di democrazia, accusando i firmatari dell’appello di fomentare insurrezioni contro il papa. Alla fine, il pontefice “martire” ha scelto saggiamente di non partecipare all’evento e…. apriti cielo: politici e direttori di giornali, vomitano livore, vogliono mettere al rogo i nuovi eretici, i docenti fanatici e ignoranti che hanno osato “azzittire” il povero papa. “Gesto di intolleranza e paura”, enfatizza Ezio Mauro su Repubblica. “La Sapienza dovrebbe essere ribattezzata ignoranza”, gridano altri. Il presidente Napolitano parla di "inammissibili manifestazioni di intolleranza". Un tale sdegno mediatico bipartisan, è quasi surreale e non si era mai visto nemmeno per tangentopoli o per le intercettazioni telefoniche degli squallidi colloqui dei politici.

martedì 15 gennaio 2008

Il commento del rettore Guarini.

Il Rettore ha dichiarato: "rispetto la decisione della Santa Sede anche se con rammarico. L'incontro con il Pontefice poteva rappresentare un momento importante di riflessione per credenti e non credenti su problemi etici e civili, quale l'impegno per l'abolizione della pena di morte, che sono la linfa vitale del nostro lavoro didattico e di ricerca. L'ascolto della voce di uno studioso che ha scritto su temi del nostro tempo sarebbe stato alimento per la libertà delle coscienze e per tutti coloro che si interrogano laicamente."

IIl papa decide di non partecipare alla kermesse della Sapienza e…. apriti cielo!

Alla fine, il Benedetto XVI ha saggiamente scelto di non partecipare alla kermesse e…. apriti cielo: da Prodi a Veltroni, da Casini a Berlusconi, tutti vorrebbero la testa dei responsabili “fanatici e intolleranti” che hanno osato sollevare un’obiezione. Il Presidente Napolitano ha scritto una lettera al pontefice che verrà letta domani. La Cei parla di "intolleranza antidemocratica e chiusura culturale". Viene da dire da che pulpito. Anche Giuliano Ferrara, uno dei tanti ciambellani di corte, rilascia un commento esilarante: "Dobbiamo vergognarci, e' un vero disonore. Per fortuna non mi sono laureato, altrimenti avrei rispedito alla Sapienza il certificato di laurea con su scritto: "siete un branco di asini". Beh, detto da un cinghiale del suo "peso" politico! Purtroppo, in questo paese di stampo borbonico, in questa repubblica delle banane, non si deve mai protestare contro nessun potente, ma stare sempre a capo chino e subire in silenzio.
L’iniziativa dei colleghi della Facoltà di Scienze è condivisibile, non certo per ostracismo verso pontefice che può mettere piede alla Sapienza in qualsiasi altra occasione, per un confronto aperto. E nemmeno per censurare la forza delle sue opinioni, visto che il papa diffonde il suo “verbo” “urbi et orbi”, come e quando vuole, intervenendo a ruota libera su qualsiasi argomento. Quello che vorrei fosse chiaro, una volta per tutte, è che l’inaugurazione dell’anno accademico di un’università statale è un evento laico e tale dovrebbe rimanere. Come ha già puntualizzato Sergio Pimpinelli, non sono richieste operazioni di immagine, non è necessario ricorrere a ospiti eccellenti per cercare la luce dei riflettori. Se quell’ospite è poi un papa che non ha mai fatto mistero delle sue posizioni eufemisticamente “chiuse” rispetto al progresso scientifico, allora la protesta della Facoltà di Scienze è quasi scontata. Il rettore e il senato accademico della Sapienza avrebbero dovuto immaginarlo. Senza ritornare su Galileo, sono sfuggite altre esternazioni fatte da Benedetto XVI sulle cellule staminali e sull’evoluzione biologica. Purtroppo per il papa e per i suoi poco informati sostenitori, l’evoluzione è un ormai fatto provato da numerose prove sperimentali, le più recenti sono quelle che derivano dall’analisi comparata dei genomi di vari organismi, uomo incluso.

lunedì 14 gennaio 2008

Il papa alla Sapienza: lettera di Sergio Pimpinelli al Rettore Guarini.

Pubblico volentieri una lettera del collega Sergio Pimpinelli, direttore del Dipartimento di Genetica e Biologia Molecolare "Charles Darwin" della Sapienza, che interviene sulla questione del papa alla Sapienza, ormai ingigantita dai mass media.


Caro Rettore

Premetto che con queste poche righe voglio esprimere alcune
considerazioni che meriterebbero un'analisi più vasta e approfondita,
ma in questo momento sento l'urgenza e il dovere morale di
intervenire sulla questione dell'inaugurazione dell'anno accademico.
Voglio esprimere la mia piena solidarietà ai docenti firmatari e la
mia piena adesione al contenuto della loro lettera riguardo l'invito
al Papa per l'inaugurazione dell'anno accademico. Voglio anche
esprimere la forte indignazione per la canea che si è instaurata nei
mass media e nel mondo politico in maniera apparentemente
irrazionale, ma che ritengo in malafede, da parte di tromboni,
trombette e zufoli culturalmente asfittici. Se ne sono lette e
sentite di tutti i colori su un argomento che obbiettivamente non
meritava tale risonanza data la situazione realmente mefitica in cui
stiamo vivendo attualmente e sulla quale bisognerebbe riflettere in
maniera seria (vedi il problema spazzatura, la tragedia della
Tyssen su cui già non si riflette più anche se questo avrebbe dovuto
maciullare le nostre coscienze in maniera indelebile, oppure il
problema della prostituzione per le strade che in nome dell'iprocrito
concetto di stato etico, nell'elaborazione del quale la chiesa non è
certamente estranea, ci induce a vivere una situazione di degrado
estremo come segno di profonda inciviltà).

Ritornando all'evento in questione, la peggiore mistificazione che
ricorre in questo guazzabuglio mediatico è che si vorrebbe censurare
il Papa.

NON MI PARE CHE IL PAPA SUBISCA ALCUN TIPO DI CENSURA COME DIMOSTRATO
DALLA SUA ONNIPRESENZA QUOTIDIANA IN TUTTI I MASS MEDIA.

LA LETTERA MI PARE SIA SEMPLICEMENTE UNA CRITICA AL RETTORE PER
L'INVITO CONSIDERATO INOPPORTUNO DATE LE NOTE POSIZIONI DEL PAPA
SULLA SCIENZA CHE CONTRIBUISCONO AD ACCENTUARE IL DIFFUSO
ATTEGGIAMENTO ANTISCIENTIFICO CHE SI RESPIRA IN ITALIA E CHE CI RENDE
UNO DEI PAESI PIÙ ARRETRATI DEL MONDO OCCIDENTALE IN MOLTI SETTORI
DELLE BIOTECNOLOGIE , ENERGIA ETC..

Voglio inoltre aggiungere che considero l'invito inopportuno anche
perché rivolto ad un capo di stato straniero il quale, tanto per
gettare un sasso nel mare di ipocrisia pelosa che ci sta sommergendo,
secondo i parametri canonici di democrazia, è basato su un sistema di
potere antidemocratico e religioso.

Se questa iniziativa dipende da una strategia che punta a dare una
malintesa visibilità alla Sapienza mediante la partecipazione di
guest stars, per cui una volta viene invitato un cantante a
recitare poesie, un'altra volta il Papa e poi magari qualche star del
calcio o del wrestling, l'iniziativa ha avuto successo!
Tutto questo sarebbe però ancora più doloroso in quanto
significherebbe che anche l'Università, l'ultimo baluardo del sapere
e della razionalità, e per questo profondamente laica e libertaria,
è franato sotto i colpi della mediocrità, superficialità e cinismo
che caratterizzano il modello di convivenza civile attuale,
perdendo quindi definitivamente la sua funzione di risorsa a cui
attingere per superare il buio culturale e comportamentale che
colpisce le società nei periodi di crisi come quello attuale.
Mi dispiace ammetterlo, ma ho il forte sospetto che sia proprio così
per responsabilità dell'attuale gestione del nostro Ateneo che ha
causato e sta causando, come ho già espresso in occasione di altri
eventi , non pochi problemi a chi spende la sua vita lavorando in
mezzo a mille difficoltà all'interno dell'Università.
Un'ultima riflessione, poiché non tutto il male viene per nuocere,
speriamo che questa iniziativa, avendo dato grande visibilità alla
Sapienza, possa mantenere il nostro ateneo sotto i riflettori mass
mediatici e questo possa contribuire a migliorare i comportamenti
istituzionali di tutto il mondo accademico.

Ti chiedo scusa per queste poche e frettolose considerazioni che
spero possano suscitare un dibattito più approfondito essendo
l'Università il luogo ideale per la formazione di serie e
approfondite riflessioni sul rapporto tra Scienza e Fede, Scienza e
Società, Scienza e (ahinoi!) politica.

Cordiali Saluti
Sergio Pimpinelli

domenica 13 gennaio 2008

L’oscurantismo di papa Benedetto XVI approda alla Sapienza?

Benedetto XVI è stato invitato all'inaugurazione dell'anno accademico 2007-08 della Sapienza, il 705° dalla fondazione, che si terrà il 17 gennaio. La cerimonia sarà aperta dalla prolusione del rettore Renato Guarini. Seguiranno gli interventi del rappresentante degli studenti, Gianluca Senatore, e del personale tecnico amministrativo, Dina Bei Schmid. Una lectio magistralis dal titolo “Pena senza morte” sarà pronunciata da Mario Caravale, docente di storia del diritto italiano. Interverranno anche Walter Veltroni e Fabio Mussi. Benedetto XVI concluderà offrendo una sua "riflessione" alla comunità universitaria e poi visiterà la Cappella universitaria.

Una sessantina di colleghi della Facoltà di Scienze della Sapienza, tra cui molti Fisici, criticando questa operazione di facciata, hanno firmato un appello (pubblicato il 10 gennaio scorso su Repubblica) a sostegno di una lettera precedente inviata dal fisico Marcello Cini al rettore Guarini, chiedendo l'annullamento dell'invito al papa. La lettera di Cini è consultabile all'indirizzo:http://www.italialaica.it/cgi-bin/news/view.pl?id=007887.

E ‘superfluo dire che condivido l’iniziativa dei colleghi della Facoltà di Scienze, non certo per ostracismo verso pontefice che può mettere piede alla Sapienza in qualsiasi altra occasione per un dibattito. E nemmeno per censurare la "potenza" delle sue parole, visto che il papa è libero di diffondere il suo “verbo” “urbis et orbis”, quando e come vuole, intervenendo a ruota libera su qualsiasi argomento. Quello che deve essere chiaro, una volta per tutte, è che l’inaugurazione dell’anno accademico di una università statale è un evento laico e tale dovrebbe rimanere. Non sono richieste operazioni di immagine, non è necessario ricorrere a ospiti eccellenti per cercare la luce dei riflettori. Se quell’ospite è poi un papa che non ha mai fatto mistero delle sue posizioni eufemisticamente “chiuse” rispetto al progresso scientifico, allora la protesta della Facoltà di Scienze è quasi scontata. Vorrei solo aggiungere che Ratzinger ha ribadito il suo atteggiamento "chiuso", mettendo in discussione le cellule staminali e anche l'evoluzione biologica. La teoria di Darwin «non è verificata scientificamente», e il solo approccio scientifico «non è sufficiente a spiegare l’origine della vita». Lo ha scritto in un libro che raccoglie gli atti di un convegno svoltosi a Castel Gandolfo lo scorso settembre.

L'appello ha suscitato grande scalpore: da quotidiani noti per essere da sempre " aperti e democratici" come il Foglio, Il Tempo, Il Giornale ecc., sono stati scagliati strali e accuse di fuoco contro i firmatari dell'appello, ritenuti loro i veri oscurantisti e responsabili, secondo i giornalisti, di istigare una sorta di insurrezione contro il Papa, che potrebbe sfociare in atti di violenza. L'ex-ministro Gasparri ha addirittura dichiarato che i firmatari dovrebbe essere denunciati per istigazione a delinquere! Beh, visto come "nasce" politicamente Gasparri, non ci stupisce più di tanto: mi meraviglio che non abbia proposto purghe o deportazioni, come facevano i suoi "nonni" del fascio. E' proprio verò che in questo paese "borbonico" è vietato protestare contro i potenti, bisogna soltanto stare a capo chino e subire in silenzio.


Il testo della lettera apparsa su Repubblica

CONDIVIDIAMO appieno la lettera di critica che il collega Marcello Cini ha inviato al Rettore dell'Università La Sapienza di Roma a proposito della sconcertante iniziativa che prevede l'intervento di papa Benedetto XVI all'Inaugurazione dell'Anno Accademico alla Sapienza (lettera che sostiene l'inopportunità dell'intervento e alla quale non è stata data finora risposta).
A sostegno della critica di Marcello Cini aggiungiamo solo un particolare. Il 15 marzo 1990, ancora cardinale, in un discorso nella città di Parma, Joseph Rattzinger ha ripreso un'affermazione di Feyerabend: " All'epoca di Galileo la chiesa rimase molto più fedele alla ragione dello stesso Galileo. Il processo contro Galileo fu ragionevole e giusto". Sono parole che, i nquanto scienziati fedeli alla ragione e in quanto docenti che dedicano la loro vita all'avanzamento e alla diffusione delle conoscenza, ci offendono e ci umiliano.
In nome della laicità della scienza e della cultura e nel rispetto di questo nostro Ateneo aperto a docenti e studenti di ogni credo e di ogni ideologia, auspichiamo che l'incongruo evento possa ancora essere annullato.
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La risposta dell'Ufficio stampa della Sapienza

Alessandra Barberis Ufficio stampa Università La Sapienza di Roma

La lettera firmata da alcuni docenti della Sapienza relativa alla visita del Papa all'Università (ieri su Repubblica), riferisce che Benedetto XVI interverrà nell'inaugurazione dell'anno accademico, trascurando che inaugurazione e visita papale saranno due momenti diversi e tralasciando il contesto di valori nel quale il Pontefice sarà all'Università.
La Sapienza inaugurerà l'anno accademico 2007-2008, dedicando la manifestazione all'impegno contro la pena di morte. L'Università intende infatti farsi promotrice di un appello alla comunità scientifica internazionale contro la pena capitale. La cerimonia si svolgerà secondo la tradizione accademica, con una relazione introduttiva del Rettore, alla quale seguiranno gli interventi degli studenti e del personale. Concluderà una lezione magistrale del professor Mario Caravale, dal titolo "Pena senza morte".
Benedetto XVI, che giungerà dopo la cerimonia di inaugurazione, ha scelto di offrire in questa occasione una propria riflessione alla comunità universitaria.

venerdì 11 gennaio 2008

Settis, la lungimiranza di Mussi e i vestiti nuovi dell’Imperatore. Di Patrizio Dimitri

Condivido molte delle considerazioni fatte da Salvatore Settis nel suo articolo apparso su Repubblica il 9 gennaio scorso. In particolare, ritengo necessario che i concorsi universitari per ricercatori e docenti debbano essere delocalizzati, ovvero sottratti all’egemonia delle sedi locali e svolti a livello nazionale, e che le commissioni prevedano la presenza di esperti stranieri svincolati dai clan accademici. Sinceramente, però, non sono d’accordo con il Direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa quando, pur criticando questo governo “impotente”, di fatto assolve il “virile” ministro Mussi. Settis arriva addirittura ad attribuire a Mussi “grande lungimiranza”, anche in virtù della nomina del fisico Luciano Maiani a presidente del CNR; un risultato, in verità, un po’ misero, dopo quasi due anni di lavoro.

Settis non è nuovo a questi elogi nei confronti del ministro. Su Repubblica del 5 settembre scorso aveva già scritto: “ Il "Corriere" ha pubblicato un articolo di Mussi che non lascia dubbi sulla sua determinazione ad agire” e ancora " E' lecito sperare nella cultura e nell'intelligenza politica del ministro Mussi". Frasi che hanno il sapore amaro delle ultime parole famose, visto quello che è accaduto in seguito. Non è proprio Mussi, in qualità di ministro, uno dei primi responsabili della desertificazione delle già magre risorse finanziarie e umane, che pesa come un macigno su università e ricerca? Non ha nulla a che fare Mussi con le inefficienze burocratiche e le lentezze pachidermiche del suo Ministero? Perché affrontare contemporaneamente una massa di problematiche complesse, quando sarebbero stato preferibile assegnare delle priorità? Perché scatenare un'enfasi normativa, come ha scritto l’onorevole Walter Tocci, che ha poi creato lo stallo? Gli esempi non mancano: l’iter controverso del nuovo regolamento per il reclutamento dei ricercatori e dell’istituzione dell’Agenzia di valutazione di università e ricerca (Anvur); la creazione del nuovo Fondo di investimento per la ricerca scientifica e tecnologica (First) che non si sa bene di quanti e quali fondi sarà dotato; il blocco dei concorsi di ricercatore e professore; la scelta di Mussi di bandire un migliaio di posti di ricercatore secondo le vecchie e criticate regole, in attesa che sia approvato (se mai lo sarà) il nuovo regolamento; una scelta, forse irrinunciabile, che però rappresenta un fallimento; il grave ritardo del bando Prin 2007, che ha creato grande difficoltà e incertezza nel mondo della ricerca. Sensazioni consolidate dal fatto che, secondo voci di corridoio, i progetti non sono stati ancora assegnati ai revisori, a più di 2 mesi dalla scadenza del bando. E per finire, non dimentichiamo la riforma dei corsi di dottorato, che forse poteva anche attendere e, come se non bastasse, l’ultima "la perla" del “docente equivalente” (discussa nel topic precedente). Il tutto sapientemente condito dai pesanti tagli della finanziaria 2006, riproposti anche nella finanziaria 2007. 

Se Mussi non può far fronte alle aspettative della parte sana del mondo universitario e della ricerca, alimentate dalle vane promesse pre-elettorali, allora, per coerenza, dovrebbe dimettersi, come annunciato in un intervista del 27 luglio 2006 al Manifesto. Disse allora Mussi "Nessuno si aspetta miracoli e abbondanza, ma se l'Italia, di fronte all'esplosione globale della spesa in ricerca e formazione superiore, annuncerà provvedimenti di definanziamento della ricerca, si tratterebbe di un'altra politica rispetto a quella con cui il centrosinistra si è presentato agli elettori. La si potrebbe fare, ma in quel caso ci vorrebbe un altro ministro .” Cosa fa, invece, questo ministro? Come nella fiaba “I vestiti nuovi dell’Imperatore” di Andersen, Mussi vede una realtà che non esiste, ma che gli fa comodo vedere. Rilascia interviste e compare in televisione lanciando i soliti proclami trionfalistici, sbandierando risultati e mostrando un ottimismo surreale. Magari fosse così semplice! Non basta fare l'elenco dei buoni propositi, occorre realizzarli. Uno dei tanti cavalli di battaglia di Mussi è il famoso “Patto per l’Università e la ricerca” firmato insieme a Padoa-Schioppa a settembre scorso. In realtà, si è trattato di una sorta di “patto col diavolo”, che ha avuto l’unico effetto di “dannare” l’Università, senza arrecarle il benchè minimo vantaggio. Ma almeno Faust, con Mefistolefe aveva fatto un po' meglio. Infatti, l’ultimo comunicato della CRUI ci dice che la situazione è drammatica: “Tenuto conto dei tagli, della mancanza del finanziamento per l’edilizia, degli oneri per gli incrementi stipendiali, il Fondo incrementale di 550 milioni di euro, al netto del riallineamento tra il 2007 e 2008, si è letteralmente volatilizzato e il saldo finale diventa addirittura negativo”. 

In realtà, Mussi, come l’imperatore della fiaba, è “nudo” (solo metaforicamente, per nostra fortuna...), anche se vuol far credere a se stesso e agli altri di indossare vesti magnifiche, fatte di stoffe preziose. Settis, forse, non l'ha ancora capito, ma qualcun altro, sì. “E l'imperatore rabbrividì, perché sapeva che avevano ragione; ma intanto pensava: "Ormai devo condurre questa parata fino alla fine!", e così si drizzò ancora più fiero, mentre i ciambellani lo seguivano reggendo una coda che non c'era per niente”.