mercoledì 18 marzo 2015

"Università, altro che merito. E' tutto truccato. Vi racconto come funziona nei nostri atenei", ovvero quando si sparla e si spara su Università e Ricerca.

Oggi ho letto un articolo-intervista di un certo Matteo Fini pubblicato dall'Espresso. Il titolo è: "Università, altro che merito. E' tutto truccato. Vi racconto come funziona nei nostri atenei". Fondi sperperati, concorsi pilotati, giovani sfruttati. Un ex dottorato spiega nel dettaglio come si muove il mondo accademico tra raccomandazioni e correnti di potere.
L'articolo si può leggere al link: http://espresso.repubblica.it/attualita/2015/03/09/news/universita-altro-che-merito-e-tutto-truccato-vi-racconto-come-funziona-dietro-la-cattedra-1.202894?ref=HRBZ-1
Nulla di nuovo sotto il sole, gli argomenti trattati da Fini sono stati ampiamente discussi in precedenza da libri e interviste che descrivono alcune gravi patologie che affliggono non solo l’università, ma direi tutti gli ambiti della società italiana, basta guardare i numerosi e clamorosi scandali che coinvolgono il mondo della politica. I fenomeni di nepotismo nel mondo accademico sono stati denunciati in passato anche da Espresso, Repubblica e da programmi televisivi come “Report” e “Anno zero”. La cosa grave è che finora queste denunce non hanno intaccato di un millimetro il potere ed il delirio di onnipotenza di certi accademici. In un paese diverso, sarebbero già partite delle inchieste giudiziarie.
Detto questo, però, come docente universitario che da anni svolge didattica e ricerca, sono molto preoccupato per le strumentalizzazioni e gli effetti negativi che articoli di questo tipo possono produrre. L'articolo, infatti, ci va giù molto duro con le accuse senza risparmiare nessuno. Quali conclusioni potrebbe trarne un lettore medio?
Sicuramente che il mondo dell'università e della ricerca in Italia è un luogo infame, una sorta di "bronx accademico" frequentato solo da loschi figuri che compiono le peggiori atrocità: baroni che sperperano fondi, truccano concorsi e sfruttano i giovani, malfattori dediti a familismo e clientelismo, portaborse, leccapiedi, fannulloni o addirittura papponi, come scrisse anni fa Vittorio Feltri su “Libero”.
Per fortuna, università e ricerca sono anche altro, questo posso garantirlo. Posso dire, per esperienza consolidata negli anni, che nei settori scientifici, ad esempio, esistono molti ricercatori e professori che svolgono attività didattica e di ricerca di buono/ottimo livello, armati di passione e dedizione, persone oneste che dalla mattina alla sera si fanno in quattro per “mandare avanti la baracca”. E' anche grazie a loro che la ricerca scientifica del nostro paese è sorprendentemente competitiva nel contesto internazionale, malgrado i tagli sempre più drastici inflitti dai governi ai finanziamenti pubblici (vedi The italian paradox: http://www2.cnrs.fr/en/1588.htm). Tagli, che tra l'altro, gravano solo su chi lavora e non certo su fannulloni e nepotisti, che se la spassano indisturbati come sempre.
Le parole sono importanti, grida Nanni Moretti schiaffeggiando una sprovveduta giornalista nel film "Palombella rossa". E lo sono soprattutto se possono influenzare l'opinione pubblica. A mio parere, quando si scrive di università e ricerca e non solo, se si vuole fare vera informazione, senza cadere nei luoghi comuni e senza cedere alla fame di scoop, si deve evitare di privilegiare il sensazionalismo a scapito di un approfondimento critico. Per non screditare una intera categoria di ricercatori e docenti, bisogna fare i dovuti distinguo, mostrando anche l'altra faccia degli Atenei: quella che lavora e produce, anche se non fa notizia. Altrimenti, denigrando in toto università e ricerca pubbliche si rischia di mistificare la realtà e lungi dal punire i corrotti si getta fango su tutti, anche sugli onesti, distruggendo forze ed energie positive a scapito dei giovani e dello sviluppo scientifico e culturale del paese.
Un'ultima considerazione: ma se negli Atenei circolano solo baroni e nepotisti, qualcuno deve dirci da dove saranno mai venuti i famosi cervelli in fuga, altro luogo comune e cavallo di battaglia di molta stampa. Che si siano generati spontaneamente? Che siano nati sotto ai cavoli? Saranno forse dei baccelloni di origine extra-terreste? Non è che per caso dei docenti onesti, dei bravi "maestri" li avranno formati e aiutati a crescere, proprio negli stessi Atenei ritenuti da molta stampa covi esclusivi di nepotismo e malaffare? Su questi temi, molti giornalisti dovrebbero chiarirsi le idee, per evitare di cadere in contraddizione con se stessi. Altrimenti saremmo spinti a pensare che ad essere in fuga siano anche i loro cervelli!
Purtroppo, corruzione e clientelismo sono virus che hanno infettato ormai tutti gli ambiti della società italiana, sia nel pubblico che nel privato. Usando lo stesso metro utilizzato da Fini nel suo articolo, si potrebbe dire che il mondo della stampa è fatto solo da giornalisti corrotti, pennaioli e scribacchini al soldo di politici e industriali, gente che fa strada unicamente grazie alle amicizie che contano, ma non sarebbe giusto.
Patrizio Dimitri

sabato 3 gennaio 2015

La valutazione della ricerca e le nozze coi fichi secchi

Quale botanico potrebbe mai pensare di valutare le potenzialità di sviluppo di piante di edera lasciandole crescere nel deserto del Sahara? Quale premiata scuderia di Formula 1 eseguirebbe dei test di velocità di un nuovo prototipo in un circuito dal manto stradale dissestato? Sarebbe sicuramente più saggio e redditizio fornire alle piante le adeguate risorse nutrizionali e il giusto ambiente, così come eseguire i test di velocità su di un manto stradale in perfette condizioni.
Traslando questi esempi lapalissiani al campo della valutazione della ricerca scientifica, il buon senso vorrebbe che prima di valutare i ricercatori, e le ricerche che questi svolgono, lo stato dovrebbe garantire loro la possibilità di accedere a finanziamenti degni di questo nome.
Ma quello che è ovvio per noi poveri mortali, non sembra esserlo per l'Agenzia Nazionale di Valutazione di Università e Ricerca (ANVUR). Senza entrare nel merito di un sistema di valutazione che finora ha mostrato i suoi enormi limiti producendo spesso valutazioni falsate e risultati paradossali, l'ANVUR è stata istituita allo scopo di riconoscere e premiare il merito e l'eccellenza. Ma ora l'Agenzia si trova a svolgere questo compito in un terribile momento storico, il peggiore di sempre, caratterizzato dall'azzeramento dei finanziamenti pubblici. In condizioni ambientali così avverse, negli ultimi anni il lavoro dei ricercatori è stato chiaramente compromesso e molti laboratori sono vicini al collasso. Inoltre, in scarsità di risorse si è scatenata una esasperata competizione che, lungi dall'avere risvolti positivi, tende a premiare i gruppi accademicamente più forti, non necessariamente i migliori, cancellando quella variabilità culturale e scientifica determinante per lo sviluppo della conoscenza.
Purtroppo, l'ANVUR non si dimostra disposta all'autocritica e di questo passo finirà per fare le classiche "nozze coi fichi secchi" rendendo inutile, o a dir peggio dannoso il lavoro svolto finora.
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Non sarebbe stato più serio e utile, se prima di dare inizio ai cerimoniali della valutazione si fosse pianificata una programmazione a lungo termine con lo stanziamento di risorse ageduate per finanziare la ricerca? Oppure il vero e unico scopo dell'Agenzia è quello di selezionare nuove specie di "ricercatori mutanti" resistenti agli ambienti ostili e capaci di lavorare e produrre in assenza di risorse? Che sia questa la novità, il risultato degli esperimenti dell'abominevole dottor ANVUR, la grande prospettiva per lo sviluppo della ricerca e della conoscenza nel nostro paese?
Ci auguriamo vivamente di no, perchè dopo aver toccato il fondo università e ricerca dovranno risollevarsi. Tutti siamo chiamati per collaborare a questo scopo, altrimenti sarà il tracollo definitivo del nostro paese.
E come conclude Gennaro Iovine (Eduardo De Filippo) in "Napoli Milionaria" prima che cali il sipario: Ha da passà 'a nuttata.