mercoledì 29 febbraio 2012

Si sa che " E figli so’ piezz’ e core.....”

Perchè prendersela con il rettore, è solo un buon padre di famiglia e un buon marito. D'altronde, come diceva Eduardo De Filippo, si sa che " E figli so’ piezz’ e core.....”

La carriera del primario che operava i manichini: chirurgo e figlio del rettore della Sapienza. Di Gian Antonio Stella

Vi fareste operare al cuore da chi non ha «mai visto la cardiochirurgia» e si è impratichito solo con i manichini? Se la domanda vi sembra demenziale, sappiate che è già successo .
O almeno così dice, in un'intervista stupefacente, il figlio del rettore della Sapienza. Che con una sfolgorante carriera si è ritrovato giovanissimo a fare il professore nella facoltà del papà, della mamma e della sorella.

Che per essere un grandissimo chirurgo si debba avere necessariamente un curriculum scientifico universitario, per carità, non è detto. Ambroise Paré, il fondatore della moderna chirurgia, pare fosse figlio di una peripatetica e cominciò nella scia del padre facendo insieme il chirurgo e il barbiere. E il capo-chirurgo dell'«équipe 2» del primo trapianto di cuore in Sud Africa, nel 1967, al fianco di Christiaan Barnard, pare sia stato Hamilton Naki, che era un autodidatta con la terza media che essendo nero figurava assunto come giardiniere ma aveva le mani d'oro al punto di ricevere, finita l'apartheid, una laurea ad honorem e il riconoscimento di Barnard: «Tecnicamente era meglio di me».
Detto questo, il modo in cui Giacomo Frati si è ritrovato alla guida di un'Unità Programmatica di (teorica) avanguardia al Policlinico di Roma appare sempre più sbalorditivo. Ricordate? Ne parlammo due settimane fa, dopo l'apertura di un'inchiesta giudiziaria. Riassumendo, il giovanotto riesce in una manciata di anni (ricercatore a 28, professore associato a 31, in cattedra a 36) a diventare ordinario nella stessa facoltà di medicina in cui il padre, il potentissimo rettore Luigi, è stato per una vita il preside e ha già piazzato la moglie Luciana Rita Angeletti (laurea in lettere, storia della medicina) e la figlia Paola, laureata in legge e accasata a Medicina Legale.

Un genio tra tanti «sfigati»? Sarà... Ma certo gli ultimi passaggi della vertiginosa carriera di Giacomo sono sconcertanti. Prima l'esame da cardiochirurgo vinto grazie al giudizio di una commissione di due igienisti e tre dentisti: «Giusto? Forse no però questo non è un problema mio...». Poi la chiamata a Latina dove era stata aperta una «succursale» di cardiologia della Sapienza presso la casa di cura Icot. Poi il ritorno a Roma appena in tempo prima che le nuove regole contro il nepotismo della riforma Gelmini impedissero l'agognato ricongiungimento familiare. Poi la creazione su misura per lui, togliendo un po' di letti a un altro reparto, di un'«Unità Programmatica Tecnologie cellulari-molecolari applicate alle malattie cardiovascolari» che gli consente di avere un ruolo equiparato a quello di primario, novità decisa dal direttore generale Antonio Capparelli. Nominato poche settimane prima ai vertici del Policlinico proprio da Luigi Frati, il premuroso papà.
Troppo anche per un ateneo storicamente abituato a una certa dose di nepotismo. Eppure, neanche un verdetto del Tar che dà ragione a quanti avevano presentato un esposto contro gli esiti della «gara» vinta da Giacomo («illogicità del criterio adottato», «irragionevole penalizzazione degli idonei», «danno grave e irreparabile») è riuscito a frenare l'irrefrenabile ascesa del giovanotto. Anzi, il giorno dopo avere perso il ricorso in appello contro quella sentenza, l'università gli ha fatto fare un nuovo passo in avanti.

Né sono riusciti a bagnare l'impermeabile scorza di Luigi Frati (dominus assoluto di un sistema trasversale alla destra e alla sinistra che sta benissimo a molti baroni) alcune contestazioni nel Senato accademico o una miriade di mugugni sul Web. Né poteva infastidirlo, pochi giorni fa, il professor Antonio Sili Scavalli, segretario regionale della Fials e responsabile aziendale dello stesso sindacato, che ha mandato una diffida a Renata Polverini chiedendo come fosse possibile che Giacomo Frati, chiamato al Policlinico per attivare una guardia medica di cardiochirurgia, sia stato quattro mesi dopo promosso e contestualmente abbia chiesto, da primario, di essere esentato dalle noiose guardie notturne.
Ma le domande più fastidiose poste dal sindacato, che preannuncia un esposto alla magistratura, sono altre. È vero che in un anno e mezzo i dati sulla produttività dell'unità di Giacomo Frati «fornirebbero un numero pari a zero»? Ed è vero che in questo periodo il giovine chirurgo ha fatto in tutto 5 interventi «peraltro di cardiochirurgia classica» che dunque non c'entrano niente con la creazione su misura del reparto di «avanguardia»? E soprattutto: qual era la mortalità di quella dependance di cardiochirurgia a Latina dove si era impratichito?
Il punto più delicato è questo. Lo dicono nemici di Frati come il senatore Claudio Fazzone, che mesi fa ironizzò sull'«alta qualità portata a Latina» dal rettore: «Penso si riferisca alla cardiochirurgia che ha effettuato 44 interventi in un anno, di basso profilo, col più alto indice di mortalità del Lazio». Ma lo dice soprattutto un decreto della Regione del 29 settembre 2010. Dove si legge che nonostante a Latina fossero stati fatti «zero» interventi chirurgici «di alta complessità, i risultati all'Icot erano pessimi.

Tanto da spingere la Regione Lazio a chiudere la dependance universitaria, a costo di dover pagare alla casa di cura dove stava un risarcimento milionario: «La disattivazione dei posti letto di cardiochirurgia dell'Icot di Latina è sostenuta da valutazioni relative ai volumi di attività estremamente ridotti e alla bassa performance. Nel 2009, la struttura ha effettuato 44 interventi cardiochirurgici (pari all'1% del totale regionale) ed è ultima nel Lazio per capacità di attrazione, con una percentuale di ricoveri a carico di residenti fuori regione intorno al 2% (valore medio regionale del 9%). L'indice di inappropriatezza d'uso dei posti letto è 3 volte più elevato rispetto alla media regionale».
Quanto «bassa» fosse la performance, lo dice una tabella riservata del «PReValE», il Programma regionale di valutazione degli esiti, recuperata da Sabrina Giannini, di «Report». Tabella dove, alla voce «Bypass aorto-coronarico» per il 2008-2009 sulla mortalità nei primi 30 giorni dei pazienti sottoposti ad intervento chirurgico, risulta che non ce la fece il 2,25% degli operati (su 356) al Gemelli, lo 0,46% (su 656) al San Camillo-Forlanini, il 2,67% (su 225) all'Umberto I, il 3,01 (su 632) all'European hospital e via così. Risultato finale: una media di mortalità, per quanto queste statistiche vadano prese con le pinze, intorno al 2,5%.

Bene: in un servizio per «Reportime» di Milena Gabanelli, servizio da questa mattina su Corriere.it , Sabrina Giannini mostra quella tabella a Giacomo Frati: come mai all'Icot c'era una mortalità del 6% e cioè più che doppia? Il giovane «astro nascente» della famiglia del rettore sbanda. E si avvita in una risposta strabiliante: «Cioè, la cardiochirurgia qui è partita da zero. Faccio presente che quando noi abbiamo iniziato tutto il personale, anche infermieristico, era un personale che non aveva mai visto la cardiochirurgia. Abbiamo fatto simulazione in sala anche con i manichini. Anche per il posizionamento dei devices della circolazione extracorporea».
Fateci capire: «tutto il personale» (tutto, compresi dunque i chirurghi) era così a digiuno di cardiochirurgia che prima di operare dei pazienti si era addestrato coi manichini? Che storia è questa? Si sono impratichiti via via sui malati che avevano affidato loro la vita? Per difendere quel reparto, mentre la Regione decideva (troppi reparti) di rinunciare ad aprire nuove cardiochirurgie a Viterbo, Frosinone e Rieti, Luigi Frati disse in un'intervista a «La Provincia»: «Mi chiedo perché mai uno di Latina non abbia il diritto di farsi operare nella sua città». Ma da chi, signor rettore? A che prezzo? In quale altro paese del mondo, dopo tutto ciò che è emerso, potrebbe restare ancora imbullonato al suo posto?

Gian Antonio Stella
28 febbraio 2012 | 10:19

venerdì 10 febbraio 2012

Petizione per eliminare i vincoli alla partecipazione di PRIN E FIRB

La ricerca è una delle cinque misure per crescere del governo Monti, ma l’incipit del Ministro Profumo con i nuovi bandi PRIN E FIRB non sembra dei migliori.
Il 27 dicembre scorso sono stati resi pubblici dal MIUR due bandi per il finanziamento della ricerca scientifica: Il PRIN e il FIRB-giovani. Il bando PRIN è stato poi modificato il 12 gennaio 2012. Tali bandi presentano sostanziali novità rispetto a quelli degli anni passati e malgrado le recenti modifiche al PRIN, le novità rischiano di soffocare la ricerca di base, e in particolare quella più originale e innovativa. Proveremo ad elencarne gli aspetti che non convincono chi la ricerca la conosce e la svolge da anni.
Nel bando PRIN 2010-2011 è stato introdotto un vincolo che definisce un numero minimo di unità per ogni progetto; inizialmente si trattava di 5 unità per tutte le aree disciplinari, poi, nel nuovo bando del 12 gennaio 2012, il vincolo è stato ridotto a 2 unità per molte aree, ma non per altre tra cui quelle biologica e medica. Non capiamo il perché di questa differenziazione tra aree e ci chiediamo come mai un progetto debba essere svolto da almeno 5 unità di ricerca per essere ritenuto valido. Sarebbe come dire che d'ora in poi in Italia tutti i musicisti devono suonare solo in orchestre! Il vincolo delle 5 unità pone seri limiti alla partecipazione e se non sarà eliminato, si premieranno solo i filoni di ricerca rappresentati da un numero elevato di ricercatori, escludendo studi di assoluta eccellenza che hanno il solo demerito di essere svolti da uno o pochi gruppi italiani, ma che rappresentano ricerche di punta a livello internazionale. Se il vincolo delle 5 unità fosse stato applicato alle più importanti ricerche di biologia pubblicate negli ultimi anni, alcune delle quali premiate dal Nobel, nessuna di queste sarebbe stata ammessa al PRIN attuale. Infine, in soli due mesi è molto difficile aggregare 5 unità in un serio programma di ricerca; si incentiverà l’aggregazione artificiosa dei ricercatori in cordate disomogenee nate al solo scopo di partecipare al bando e che poco hanno a che fare con veri programmi collaborativi in cui le competenze dei partecipanti sono complementari e sinergiche.
La proposta procedura di selezione dei programmi ci lascia ancora più perplessi. La selezione non è più affidata al MIUR ma agli Atenei, che sono però tenuti a selezionare un numero limitato di programmi (circa uno ogni 100 docenti in ruolo). Non vi è dubbio che ciò penalizzerà fortemente i Dipartimenti e gli Atenei che possiedono numerosi gruppi di eccellenza. Sarebbe quindi ragionevole abolire questo vincolo oppure lasciare agli Atenei una più ampia possibilità di selezione.
Anche nel bando FIRB-giovani ci sono numerosi vincoli che ne limitano fortemente l’efficacia. In primo luogo, ogni progetto deve essere svolto da almeno 3 gruppi di ricerca tutti coordinati da un giovane ricercatore. Questo limite di 3 gruppi è molto difficile da raggiungere e riflette più un caso favorevole che il vero merito scientifico. Inoltre, ogni Ateneo può presentare un programma FIRB-giovani per ogni 200 docenti in organico, ma ben più grave è il limite delle pubblicazioni. Per accedere al FIRB, i giovani non strutturati (borsisti e assegnisti) fino a 32 anni devono avere almeno 5 pubblicazioni, i non strutturati da 33 a 36 anni, 10 pubblicazioni, e gli strutturati (ricercatori o professori associati) sotto i 40 anni almeno 15 pubblicazioni. Tuttavia, non si fa menzione né della qualità delle pubblicazioni, né della posizione dei giovani ricercatori tra gli autori delle stesse. In particolare, non si tengono in alcuna considerazione gli indici bibliometrici che stimano le pubblicazioni e le riviste dove esse appaiono. Tenere conto solo del numero delle pubblicazioni senza considerarne la qualità può causare esiti paradossali. Ad esempio, un ricercatore universitario di 33 anni, assunto a tempo indeterminato, sarebbe escluso pur avendo 10 pubblicazioni su riviste prestigiose, mentre un assegnista trentaseienne verrebbe ammesso con 10 pubblicazioni su riviste minori.
Auspichiamo che il Ministro Profumo apporti ulteriori correttivi ai bandi PRIN e FIRB-giovani. Se questo non avverrà, si verificheranno due fatti fortemente negativi. I giovani privilegeranno la quantità alla qualità, sfornando il maggior numero possibile di pubblicazioni senza curarsi del loro reale valore scientifico. I meno giovani, che hanno finora lavorato con entusiasmo e produttività ottenendo risultati originali pubblicati su ottime riviste, saranno invece costretti ad arrangiarsi, rivedendo la loro attività e orientandosi verso ricerche che permettano l’accesso ad un PRIN a 5. Tutto ciò, contribuirà ad indebolire la ricerca italiana, già in forte difficoltà per la cronica scarsità di fondi, con gravi ripercussioni sullo sviluppo culturale e tecnologico del nostro paese.
Giudo Barbuiani
Presidente dell’Associazione Genetica Italiana
Ordinario di Genetica
Dipartimento di Biologia ed Evoluzione
Università di Ferrara

Maurizio Gatti
Ordinario di Genetica
Dipartimento di Biologia e Biotecnologie
Università Sapienza

Patrizio Dimitri
Associato di Genetica
Dipartimento di Biologia e Biotecnologie
Università Sapienza
[Deviare]

I Bandi Prin 2010-2011: come cancellare la ricerca originale e di base

Paesi come Gran Bretagna e Francia hanno steso in largo anticipo documenti di programmazione della ricerca pubblica per il decennio 2004-2014,mentre in Italia ogni forma di seria programmazione sembra misteriosamente inattuabile e da sempre si vive alla giornata. Sebbene la ricerca sia una delle cinque misure per crescere del governo Monti, l’incipit del Ministro Profumo con i nuovi bandi PRIN E FIRB non sembra dei migliori. Ecco alcuni degli aspetti a nostro parere problematici dei bandi Prin.

Vincoli quantitativi
Nel recente bando Prin 2010-2011 (che accorpa due anni a causa dei gravi ritardi accumulati in precedenza) è stato introdotto un vincolo che pone seri limiti alla partecipazione: ogni progetto deve essere svolto come minimo da 5 gruppi di ricerca. Qusato vincolo è stato successivamente portato a 2 per alcune aree, ma non per altre come Scienze Biologiche e Scienzwe Mediche. Una correzione che è quasi peggiore dell’iniziale vincolo, perché rappresenta una sperequazione tra aree, soprattutto tra quelle scientifiche.
Mettere un vincolo che definisce un numero minimo di unità per svolgere delle ricerche scientifiche sarebbe come dire che d'ora in poi in Italia tutti i musicisti devono suonare solamente in orchestre! Se il vincolo non sarà eliminato, si premieranno solo gruppi ampi e accademicamente potenti e si penalizzerà la ricerca di base, per definizione sviluppata da gruppi di dimensioni più ridotte.

Risorse
Ai Prin 2010-2011 sono stati assegnati 175 milioni di euro complessivi per progetti che avranno durata triennale, da dividere per le 14 aree tematiche. Negli ultimi due Prin (2008 e 2009), i meno finanziati della storia, le risorse ammontavano complessivamente a 202 milioni di euro per progetti biennali. E' subito evidente che il budget destinato al Prin 2010-2011 si mantiene intorno ai livelli minimi precedenti, mentre per finanziare adeguatamente la ricerca pubblica sarebbe stato necessario un vero cambiamento di rotta con un aumento significativo del budget.

Procedura di selezione
Le cose non vanno meglio. Anche qui i vincoli numerici la fanno da padrone. Ci sarà una fase di preselezione dei progetti da parte degli Atenei che dovranno scegliere un numero di progetti pari circa all'1% del totale di docenti e ricercatori di ruolo. Nell'area di Scienze Biologiche potranno essere presentati solo 6 progetti. E' stato di recente stato deciso che la preselezione sarà affidata a referees indicati dai coordinatori dei progetti e scelti dall'Università. Non vi è dubbio che ciò favorirà i gruppi più grandi e accademicamente potenti, penalizzerando inoltre quei Dipartimenti e quelle Università che possiedo più gruppi che svolgono ricerche di valore e di impatto internazionale.

Conlusioni
I Prin, istituiti dal primo governo Prodi nel 1996, hanno finora rappresentato la principale fonte di finanziamento pubblico destinata alla ricerca universitaria: con i vincoli contenuti dei recente bando si escludono dalla partecipazione moltissimi gruppi di ricerca universitari di ottimo livello e si penalizza gravemente la ricerca di base, dimenticando che essa è invece da sempre il vero motore del progresso scientifico e tecnolgico (la storia della scienza pullula di esempi a riguardo).
La ricerca per sua natura, non deve essere esclusivamente orientata verso fini predefiniti, o imbrigliata da norme, lacci e cavilli burocratici imposti da governanti e burocrati, se così fosse sarebbe molto pericoloso. Gli unici criteri di valutazione da adottare per l'assegnazione dei finanziamenti dei progetti di ricerca pubblici devono essere qualita' e credibilita' scientifiche del progetto e dei proponenti, tutti aspetti che si possono "misurare" valutando, oltre al progetto, i curricula e le pubblicazioni dei partecipanti, usando gli opportuni indici bibliometrici.

Auspicabili Correttivi
Auspichiamo che il Ministro Profumo introduca i necessari correttivi (abolizione dei vincoli numerici, finanziamenti finalmente adeguati e norme serie di valutazione che riconoscano la qualità). Se ciò non avvenisse, chi finora ha lavorato con entusiasmo e produttività, sarà costretto a arrangiarsi o a chiudere bottega, con gravi perdite di investimenti, conseguenze negative sulla didattica universitaria e ripercussioni disastrose enormi sullo sviluppo culturale e tecnologico del nostro paese.