lunedì 2 dicembre 2013

UNIVERSITA' E RICERCA: IL GIORNO DEL GIUDIZIO

John Kenneth Galbraith, grande vecchio dell'economia americana e critico della teoria capitalista tradizionale sosteneva che nella storia gli economisti non sono mai stati capaci di prevedere una crisi, anzi, una volta scoppiata, hanno sempre fornito ricette che contribuivano ad aggravarla.
In Italia, però, un manipolo di economisti dell'Università Bocconi detta legge da anni e porta avanti una virulenta campagna mediatica mirata a denigrare tout court università e ricerca pubbliche, condizionando lo sviluppo culturale e scientifico del nostro paese. E’ una moda anche più trendy del nuovo iPhone 5s, un’offensiva decisa a tavolino: prima i vari governi bombardano con i tagli pesanti e indiscriminati, poi arrivano le truppe d'assalto a completare l'opera di distruzione. Non a caso il titolo del'imminente convegno organizzato dai terminator dell'Università Bocconi di Milano si intitola proprio "La ricerca in Italia cosa distruggere, come ricostruire"
Tra i principali terminator a ogni costo, ricordiamo Francesco Giavazzi, Roberto Perotti e Tito Boeri. La loro tesi in sintesi è questa: perché, sprecare soldi pubblici finanziando università e ricerca, se docenti e ricercatori sono nepotisti, corrotti o nella migliore ipotesi fannulloni? Un messaggio molto chiaro di generalizzato discredito lanciato a ripetizione dai principali media, un malefico canto delle sirene che condiziona pesantemente l'opinione pubblica.
Tito Boeri, pro-rettore alla ricerca della Bocconi, ha di recente rincarato la dose nell'ultima puntata di "Porta a porta", denunciando la scarsa attrattività della ricerca in Italia e auspicando il finanziamento esclusivo dei cosiddetti centri d'eccellenza privati. Nell'enfasi del discorso, Boeri denunciava che nella alla recente VQR (la valutazione nazionale dei prodotti di strutture pubbliche di ricerca), l'analisi di 15000 prodotti presentati dimostrava che il 30% del personale CNR è inattivo.
Last but not least, un altro cavallo di battaglia molto scontato che i nostri terminator utilizzano spesso è quello dei famosi “cervelli” in fuga, i giovani di talento costretti a emigrare verso lidi migliori, perché la ricerca scientifica di punta da noi non esiste.
In realtà molte degli argomenti usati dai terminator non corrispondono a realtà, si tratta di un elenco di luoghi comuni, di cifre inesatte e di affermazioni diffamanti smentite dai fatti. E' vero che in Italia le condizioni di lavoro e le strutture dei centri di ricerca sono difficoltose, ma malgrado ciò, secondo uno studio del 2008 i ricercatori italiani erano al tempo tra più produttivi al mondo in termini di pubblicazioni. Anche oggi, malgrado lo scempio causato dai tagli indiscriminati degli ultimi governi, la nostra loro produttività a livello internazionale rimane notevole. A riguardo, è illuminante l'analisi di Giuseppe De Nicolao che ribalta le tesi dei terminator bocconiani (http://www.youtube.com/watch?v=fvA3YHH3IJQ. In secondo, luogo, c'è una considerazione lapalissiana da fare: i “cervelli” che stanno tanto a cuore ai nostri terminator non nascono sotto i cavoli di qualche centro d’eccellenza privato del Nord Italia , come vorrebbero farci credere, ma provengono soprattutto quegli atenei e centri di ricerca pubblici, oggi dipinti come desolati e desertificati templi dell’ozio. Là ci sono docenti e ricercatori armati di passione e dedizione, eroi moderni e non fannulloni, che malgrado mille difficoltà hanno formato generazioni di giovani bravi, alcuni purtroppo costretti a migrare altrove, ma solo per carenza di risorse economiche e di strutture: ecco il vero problema.
Per quanto riguarda le accuse di Boeri, infine, il collega ha dato i numeri sbagliati. Da un'analisi approfondita presentata da Giorgio Sirilli sul Blog Roars, si viene a sapere che i prodotti del CNR valutati erano in realtà 184.878, 10 volte di più del numero indicato da Boeri e per quanto riguarda i ricercatori inattivi si arriva ad un valore del 13% e non del 30%. Che attendibilità scientifica e politica può avere un pro-rettore che parla a milioni di spettatori sparando dati a casaccio per sostenere le proprie tesi?
Detto questo, per non essere tacciati di corporativismo, non possiamo negare che nepotismo e assenteismo siano dei gravi mali dell’università italiana, ma non sono esclusivi dell'accademia. Si tratta di mali purtroppo radicati in tutte le frange della nostra società. Per estirparli, almeno dall’ambito universitario e della ricerca, servono meccanismi seri ed efficienti di valutazione che premino veramente merito e qualità, servono risorse ingenti. Altro che tagli, altro che dirottamento esclusivo dei finanziamenti ai centri di eccellenza privati, è necessaria una seria programmazione unita a investimenti di risorse adeguate per risollevare e incentivare la ricerca pubblica e per trattenere i numerosi talenti che crescono proprio in quei dipartimenti e centri di ricerca tanto criticati. Non a caso Renato Delbecco, premio Nobel per la Medicina, nel 2008 disse che "Un Paese che investe lo 0,9% del proprio prodotto interno lordo in ricerca, contro la media del 2% degli altri, non può essere scientificamente competitivo né attirare a sé o trattenere i suoi ricercatori migliori." E da allora la situazione è peggiorata.
Purtroppo, le cure utilizzate finora dai vari stregoni di turno stanno solo di uccidendo il paziente. Infatti, il sistema quantitativo basato su indicatori bibliometrici ideato dall'agenzia nazionale di valutazione (Anvur) per la valutare ricerca e ricercatori, sta creando una meritocrazia al contrario. Non a caso, nei paesi dove la valutazione è di casa, questo sistema è ritenuto inadeguato, in assenza di altri parametri, per valutare i livelli di qualità, autonomia scientifica e originalità di ricerca (http://www.roars.it/online/incerti-incompleti-e-modificabili-ecco-gli-indicatori-dei-candidati-allabilitazione/).
Che ad essere in fuga siano proprio i cervelli di quelli che diffamano università e ricerca pubbliche con l'unico scopo di distruggerle, grazie ad una buon cocktail di presunzione, superficialità e malafede?

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