giovedì 18 ottobre 2007

Basta parole, adesso servono i fatti, di Patrizio Dimitri

Inserisco un mio commento sulle risposte di Rosy Bindi, Enrico Letta e Walter Veltroni alla nostra lettera aperta del 26 settembre. Una versione riveduta e un po' "maciullata" del commento è stata pubblicata oggi da Europa.

Rosy Bindi, Enrico Letta e Walter Veltroni hanno risposto all’appello di centinaia di docenti e ricercatori apparso su Europa il 26 settembre scorso, affermando che il Partito Democratico sosterrà università e ricerca. I tre candidati, con una dose forse eccessiva d’ottimismo, intravedono anche segnali incoraggianti. Non ce ne vogliano, ma dopo un anno e mezzo di legislatura, questi segnali sono ancora troppo flebili, direi quasi omeopatici. Cerchiamo di vedere perché.
La “mitica” agenzia di valutazione (ANVUR) fluttua ancora nel mondo delle idee platoniche: il Consiglio di stato, infatti, ne ha bocciato il decreto. I progetti di ricerca di interesse nazionale (PRIN) sono usciti per la prima volta in 11 anni con un ritardo di 6 mesi, dopo la bocciatura da parte della Corte dei Conti, ed il budget stanziato di 74 milioni di euro somiglia molto ad un’elemosina. Ci assicurano che arriverà a 150 milioni grazie a fondi sbloccati in finanziaria, ma di questi tempi è meglio essere cauti. Bisogna anche dire che le nuove norme del PRIN sono state modificate al fotofinish, rispetto a quelle eleborate in precedenza dal sottosegretario Modica, e le modifiche non sono certo migliorative (per i dettagli leggete il precedente commento del Rettore dell'Università di Camerino, Fulvio Esposito). Per continuare con l’elenco dei successi, il nuovo regolamento per il reclutamento dei ricercatori è stato anch’esso bocciato dalla Corte dei Conti. Il Ministro Mussi ha ottenuto lo sblocco di 20 milioni di euro per bandire 1000 posti di ricercatore da espletare con le vecchie e criticate norme, un atto dovuto, non c’è che dire, anche se non si può evitare di constatare l’aspetto grottesco della vicenda. I finanziamenti andranno solo alle università che hanno un rapporto tra spese per stipendi e fondi di finanziamento ordinario inferiore al 90%, e ad ogni posto verrà destinato il 50% del budget necessario, il resto dovranno mettercelo gli atenei.
Queste ed altre vicende, da cui è emersa anche una buona dose di superficialità ed improvvisazione da parte del Governo, hanno generato precarietà, disorientamento, frustrazione e rabbia nella comunità dei ricercatori. Non a caso, l’on. Modica per primo ha fatto una sincera e sofferta autocritica che è stata da noi apprezzata.
La verità è che la ricerca pubblica è da sempre un optional nel nostro paese: belle parole, buone intenzioni e patti di solidarietà firmati da Ministri che poi si traducono in poche risorse. Basti pensare che la finanziaria ha previsto per il 2008 solo 80 milioni di euro per la ricerca, un altro magrissimo bottino.
Nonostante questi problemi, la ricerca italiana è, in media, molto competitiva nel contesto internazionale e Mussi lo sa bene. Un risultato sorprendente raggiunto grazie a professori, ricercatori e precari sottopagati, che da sempre si fanno in quattro per “mandare avanti la baracca”, svolgendo didattica e ricerca con passione e competenza, anche al posto di chi all’università non mette mai piede. Sono quelli che l’onorevole Walter Tocci ha chiamato “eroi civili”, figure che hanno poco peso nel mondo accademico, emarginati o assorbiti da un lavoro che concede poche pause. Figure che non fanno notizia e vengono confuse, dal fumoso qualunquismo dei media, nella stessa “bolgia infernale”, con nepotisti, corrotti e fannulloni.
Ormai, però, gli “eroi civili” sono stremati: passione e dedizione non bastano più. Occorre ristabilire equità e serietà, iniziare a bonificare le paludi degli sprechi, distribuire le risorse a chi ha dimostrato di saperle far fruttare, premiando in base ai risultati e non ai legami familiari, assegnando incentivi stipendiali a chi fa bene il proprio lavoro. C’è bisogno di aria nuova, come dice Veltroni, ma anche di persone nuove. Per avviare il cambiamento sarà necessario un sistema di valutazione, trasparente e più oggettivo possibile, dell’attività didattica e scientifica, che premi competenza e serietà. E allora, l’ANVUR, se mai vedrà la luce, dovrà essere veramente svincolata da politica ed accademia, i concorsi non dovranno più essere guidati dai “soliti noti” e nelle commissioni si dovrà prevedere la presenza di esperti di rilievo internazionale, meglio se stranieri, perché svincolati da baronie locali. Dobbiamo evitare che si perpetui la logica gattopardesca del “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”. Purtroppo, il nuovo regolamento sul reclutamento dei ricercatori appare un ibrido tra concorsi locali e nazionali che difficilmente estirperà localismo e nepotismo.
E’ auspicabile, come dice la Bindi, che il dibattito tra ricercatori e politici, apertosi su “Europa”, non si limiti ai soli momenti elettorali, ma prosegua, per arrivare in tempi brevi a riforme condivise e risolutive a favore di Università e Ricerca. E’ necessario che alle parole seguano finalmente i fatti.

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