lunedì 24 marzo 2014

Giovanni Valentini sugli esiti delle ASN: ovvero, quando i giornalisti entrano nel merito di argomenti che conoscono poco.

"Università, beffa per gli aspiranti prof, troppo specializzati, vi bocciamo" è il titolo di un articolo apparso qualche settimana fa su "La Repubblica", dove Giovanni Valentini dà voce alla pioggia di ricorsi presentati dai partecipanti ai recenti concorsi per l'abilitazioni scientifiche nazionali (ASN) a professore universitario associato e ordinario. Valentini scrive che la riforma Gelmini "aveva disposto una nuova procedura di selezione, introducendo la meritocrazia come principale criterio di valutazione". Una meritocrazia, continua Valentini, basata su parametri bibliometrici oggettivi, riferiti all numero di pubblicazioni e citazioni dei candidati. Una meritocrazia che sarebbe stata sovvertita arbitrariamente e in modo clientelare dalle commissioni.
In realtà, il caso delle abilitazioni scientifiche nazionali (ASN) è molto più complesso di quanto descritto da Valentini, che non sembra per niente al corrente delle innumerevoli critiche e polemiche piovute sul nuovo meccanismo valutativo partorito dalla agenzia nazionale di valutazione di università e ricerca (ANVUR), molto prima che le ASN avessero luogo.
Come abbiamo sempre detto, è chiaro che la valutazione dell’attività scientifica di ricercatori e docenti è un requisito irrinunciabile, ma l'aspirazione ad una presunta oggettività è, senza scomodare filosofi o psicologi, sinceramente una vera utopia. Quello che è sicuro è che molto rischioso affidarsi a rigidi e automatici indicatori (tra l'altro estemporanei perchè variabili nel tempo) che sono stati ampiamente sconsigliati a livello internazionale, in quanto inadatti a valutare autonomia scientifica, qualità e originalità. Non a caso, Inghilterra e Australia dopo un iniziale tentativo di usare la bibliometria, nel 2011 hanno subito fatto dietro front, cosa che Anvur ha fatto finta di non vedere.
Il superamento degli indicatori bibliometrici, così come sono stati concepiti, non riflette necessariamente livelli assoluti di qualità, nè di autonomia scientifica o di originalità di ricerca. Gli indicatori, infatti, non sono affatto meritocratici, non misurano il contributo dei singoli nelle pubblicazioni e non tengono nemmeno conto del livello qualitativo delle riviste scientifiche dove appaiono le pubblicazioni. E' come se uno scrittore venisse stimato solo in base alla quantità di libri pubblicati (anche da case editrici fantasma) e non al contenuto e alla profondità delle opere.
Inoltre, tra gli indicatori, un peso determinante è stato attribuito ai parametri che misurano il numero di citazioni ottenute da una pubblicazione, una vera e propria "audience", un indice di gradimento che misurerebbe la qualità dei ricercatori e della ricerca. In realtà, si tratta di un uso improprio delle citazioni, sia in termini scientifici che culturali, in quanto un articolo, anche di qualità, può non avere un impatto immediato sul pubblico scientifico che si riflette in un numero elevato di citazioni: la conoscenza non deve essere posta alla stregua di una trasmissione televisiva il cui effetto sugli spettatori è invece di solito immediato.
In base a quanto esposto, la bibliometria dell'Anvur è un esperimento mal riuscito che applicato alle ASN premia la quantità e tende a favorire proprio i carrozzoni accademici spesso trainati dagli stessi baroni che avrebbe dovuto debellare! Un sistema le cui citate anomalie in molti casi tendono a prrodurre una vera e propria "demeritocrazia". Per mettere una toppa alle prevedibili criticità del sistema, il Ministero l'anno scorso emanò un comunicato in cui si sottolineava che superamento degli indicatori Anvur non garantiva di fatto il diritto automatico all'abilitazione e che le commissioni avrebbero potuto abilitare anche chi fosse stato privo dei requisiti bibliometrici, qualora ritenuto di alto profilo scientifico. Se da una parte la decisione appariva più che giusta, per i motivi sopra citati (gli indicatori non valutano l'autonomia di un ricercatore e l'originalità e qualità della sua ricerca), dall'altra, nel ritorno ad un sistema aperto, in assenza di opportuni correttivi, il rischio che baronie e clientele agissero indisturbate era alto.
Solo gli ingenui, quindi, potevano credere che i risultati delle ASN non avrebbero prodotto valanghe di ricorsi, giustificati o pretestuosi che siano. Il nuovo sistema ha aperto le porte a valanghe di candidati, come non era mai accaduto in passato e li ha in qualche modo illusi, perchè chiunque avesse i fatidici parametri bibliometrici ha di conseguenza creduto che sarebbe stato automaticamente abilitato, anche se il suo contributo nelle pubblicazioni era marginale: ecco la grande perversione generata dall'applicazione di un tale sistema. Tanto per fare esempio: un laureato in matematica da 5 anni che figura come uno tra i tanti autori di diversi articoli nel campo della Genetica, avendo partecipato all'analisi statistica dei dati, non sarà giustamente abilitato, perchè malgrado possieda i numeri, è in realtà sprovvisto delle competenze specifiche del settore e non avrà i requisiti culturali e scientifici per insegnare o condurre ricerche nel campo. Però, grazie alle anomalie del sistema Anvur, si riterrà autorizzato a fare ricorso.
Per i motivi esposti, quindi, è chiaro che, al contrario di quanto scritto da Valentini, la bibliometria non garantisce affatto quella valutazione oggettiva e meritocratica che sarebbe stata sovvertita dalle commissioni. Il problema non è tanto il meccanismo dei concorsi, anche se quello della ASN è forse il peggiore finora ideato, ma la gestione degli stessi che da sempre, fatte salve le eccezioni, è affidata alle solite reti di potere accademico. Stavolta l'unica differenza rispetto al passato è stata la smisurata affluenza dei partecipanti che ha creato ulteriori criticità e conseguenze. Dove si troveranno le risorse per chiamare migliaia di abilitati? Non si rischierà così il collasso?
Ora è urgente un cambio di strategia. La bibliometria può essere solo un parametro indicativo, ma non prioritario e il sistema di valutazione per il reclutamento e la progressione delle carriere deve essere basato su qualità, etica e responsabilità. Ma questo in Italia si può realizzare solo appaltando i concorsi a commissioni nazionali composte in maggioranza da esperti stranieri, svincolati dai clan nostrani.

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