domenica 29 giugno 2008

Giovani e vecchi nell'università italiana

Il famoso scrittore argentino Adolfo Bioy Casares, nel romanzo il “Diario della guerra al maiale” immagina che all’improvviso i giovani di Buenos Aires decidano di eliminare chiunque abbia superato i 50 anni, perché ormai ritenuto inutile alla società. E’ la cronaca fantastica e assurda di una “guerra civile” dove i giovani danno la caccia ai cinquantenni per sterminarli. Un metodo simile sarebbe forse apprezzato da chi va ripetendo in modo superficiale e ossessivo che bisogna svecchiare l’università italiana, perchè l’età media dei docenti supera i 50. Ironia a parte, il ricambio generazionale è un elemento fondamentale per lo sviluppo di un paese ed è doveroso garantire un futuro ai “giovani”, ma non bisogna dimenticare che certi “vecchi” sono ancora una risorsa preziosa di idee ed esperienza per tutti noi. Inoltre, in alcuni settori, bio-medici soprattutto, la piena maturità scientifica si raggiunge di solito a 40 anni suonati. Il punto, dunque, non è tanto “eliminare” i “vecchi” per fare spazio ai “giovani”, propugnando una sorta di razzismo anagrafico, quanto individuare e premiare il merito indipendentemente dall’età.

Purtroppo negli anni ‘80 i nostri Atenei sono stati ingolfati da migliaia di assunzioni facili, figlie dei famosi giudizi di idoneità. Molti “vecchi” di oggi sono proprio i “giovani” di ieri, reclutati con sanatorie decennali: un folle meccanismo “democratico” che ha annullato le differenze e oltre ai meritevoli hanno sistemato frotte di “cani e porci”. Chi è venuto dopo se l’è dovuta sudare. Una storia su tutte: quella di Mario Brambilla di Milano. Si laurea a pieni voti nel 1983 e nel 1986 è ammesso alla scuola di dottorato, dopo un blocco dei concorsi di ben 4 anni. Nel 1988 lavora per 12 mesi negli USA e nel 1989 ottiene il titolo di Dottore di ricerca. Nel 1990 vive ancora con i genitori e campa grazie alla collaborazione con un’industria che gli frutta un milione di lire al mese. Nel 1992 vince un concorso di ricercatore bandito nel suo settore dopo 10 anni di stasi. Il suo primo stipendio è di un milione e mezzo e preso dall’entusiasmo va vivere in affitto. Il 24 dicembre del 1994 gli si rompe un tubo del lavandino: Brambilla è costretto a chiamare il primo idraulico che trova per evitare di passare le vacanze natalizie in ammollo. Per due ore di lavoro, deve sborsare 500mila lire, un terzo della sua busta paga. Paga a malincuore e scaglia furibondi anatemi sull’idraulico approfittatore, tal Scorpetti. Alla fine degli anni ‘90, Brambilla partecipa a vari concorsi di professore associato, superando prove molto stressanti. Nel 1999 ottiene l’idoneità e nel 2001 prende servizio. A 50 anni, Brambilla fa didattica (lezioni, esercitazioni, tesi di laurea) e ricerca, pubblica su riviste di ottimo livello e ha una buona fama anche all’estero. Ma la cultura oggi non paga: il salario di Brambilla (2400 € mensili) è tra i più bassi d’Europa nella categoria e non gli basta per mantenere la famiglia. Ma c’è dell’altro: grazie ai “giovani” di ieri, assunti con le famigerate sanatorie, la progressione della sua carriera è a rischio per fare largo ai “giovani” di oggi. Che sfiga, povero Brambilla, se l’avesse saputo prima...

Brambilla giura che se rinasce farà il portaborse in parlamento (4000 € mensili), oppure il calciatore, anche modesto (50000 € mensili) o perché no, anche l’idraulico. Sarà un po’ meno acculturato, ma potrà mantere la sua famiglia senza tante angosce. E poi potrà comunque continuare a farsi chiamare dottore o professore anche senza esserlo, oggi lo fanno in tanti.

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