sabato 2 novembre 2013

La lettera con cui nel 2007 Enrico Letta rispose al nostro appello su Università e Ricerca

Più soldi solo a chi fa ricerca, di Enrico Letta, "Europa", 29 settembre 2007
La ricerca è la fonte dello sviluppo economico e sociale di un paese. Non si tratta di un luogo comune: senza ricerca non c’è futuro per le economie Avanzate. E un partito realmente nuovo, quale il Pd ha l’ambizione di essere, non può che conferirle un rilievo prioritario nella sua carta fondativa. In particolare se crediamo – come sto ripetendo in queste settimane di campagna per le primarie – che la costruzione del futuro debba rappresentare il punto di partenza e, al tempo stesso, il nerbo della proposta politica del Partito democratico. Difendere e rilanciare la ricerca in Italia significa preparare il terreno per un futuro migliore, per noi stessi e per i nostri figli. Per questo il grido di allarme lanciato ai candidati alla segreteria del Pd da una parte importante del mondo della ricerca italiana, e pubblicato martedì scorso da Europa, merita attenzione nell’analisi e cautela nella formulazione di eventuali soluzioni. Soprattutto perché, se prevalesse ancora una volta la delusione, perderemmo, forse definitivamente, la fiducia di un pezzo irrinunciabile dell’intelligenza del paese.
Partiamo da alcune evidenze. Da oltre un decennio il sistema della ricerca paga lo scotto di un quadro della finanza pubblica deteriorato, che, schiacciato sotto il peso di un enorme debito, continua a penalizzare gli investimenti in settori chiave per la nostra economia.Non solo la ricerca, ma anche l’innovazione tecnologica, le grandi infrastrutture, le energie rinnovabili. Negli ultimi anni a questa oggettiva criticità si sono accompagnati i contraccolpi di una concorrenza mondiale durissima, proveniente soprattutto dai paesi emergenti. In un simile contesto, in assenza di una risposta di sistema, dietro l’angolo potrebbe esserci l’ennesima emorragia di eccellenti ricercatori. Il tutto a discapito evidentemente di quella valorizzazione del capitale umano e della creatività che da anni invochiamo come un fattore chiave per recuperare slancio e competitività.
Il governo Prodi ha avviato alcune misure per rispondere alle istanze sempre più diffuse e autorevoli avanzate dal mondo della ricerca. Dal varo dell’Agenzia per la valutazione al piano di risanamento finanziario per le università concordato tra il ministro Mussi e il ministro Padoa-Schioppa. Fino all’apertura, recentissima, del bando Prin. Molto ancora c’è da fare, lo sappiamo. In particolare, è fondamentale dare risposte tangibili, con investimenti cospicui, per quanto riguarda il piano per i nuovi ricercatori e lo sblocco dei concorsi, con l’obiettivo di favorire l’immissione in ruolo di tanti giovani da anni in attesa della propria, legittima, opportunità. L’Agenzia di valutazione deve partire subito.
Il Cnr deve ritornare al suo ruolo di motore fondamentale della ricerca, governato, come accade in tutti i paesi europei, da scienziati di fama e non da manager.
Si tratta di obiettivi ambiziosi e di breve termine, possibili da raggiungere se intorno ad essi saremo in grado di convogliare l’attenzione e il consenso dell’intera maggioranza di governo. Esistono poi obiettivi più a lunga gittata, sui quali il Partito democratico, fin dalla sua costituzione, può pungolare insistentemente il dibattito. Contribuendo anzitutto a superare l’equivoco concettuale secondo cui le politiche per la ricerca sono settoriali, appannaggio esclusivo di un solo ministero. E ricordando a tutti che la fuga dei cervelli – riflesso e allo stesso tempo concausa dello stato in cui versa la ricerca italiana – rischia di trasformarsi in una sconfitta d’immagine per il nostro paese, nella dimostrazione della nostra incapacità di offrire occasioni di futuro alle nostre eccellenze. Premesso che è facile e quasi banale affermare che occorre garantire finanziamenti adeguati alla ricerca e non interromperne il flusso, come purtroppo negli ultimi anni è accaduto, vorrei esporre anche alcune idee forse un po’ eterodosse rispetto alle attese dei firmatari dell’appello, ma credo che, proprio perché l’ambizione del Pd è quella di disegnare il futuro del paese, sia opportuno misurarsi sulle questioni difficili.
Primo. Sono convinto che occorra separare i canali di finanziamento delle università in due parti: una proporzionale al numero degli studenti iscritti e con premialità per i servizi alla didattica migliori; l’altra rigorosamente proporzionale alla ricerca. Secondo. Credo che anche una ricerca che possa diventare attività imprenditoriale debba essere incentivata: corsi di dottorato con un corpo docenti internazionale, tenuti in inglese, con l’obiettivo non necessariamente di preparare alla carriera accademica, ma magari di inserire uomini e progetti innovativi nell’industria e, perché no?, nell’alta amministrazione pubblica.
In conclusione, su questi temi è necessario ragionare senza pregiudizi e a tutto campo, e che la valorizzazione dei cervelli e della ricerca scientifica non è solo questione di soldi (come, del resto, i firmatari dell’appello sanno benissimo).

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