giovedì 24 gennaio 2008

IL PAPA E GALILEO, di Walter Tocci

Un bell'articolo di Walter Tocci, pubblicato di recente dal Manifesto.

La tempesta mediatica su La Sapienza dovrebbe essere l’occasione per un dibattito di merito sui rapporti tra scienza e religione. Finora ha prevalso il metodo: fiumi d’inchiostro e ore di televisione sul valore del confronto tra opinioni diverse, principio sacro che era inutile scomodare perché assolutamente non toccato dalla vicenda. Non si trattava di organizzare un dibattito col papa, questo sì sarebbe stato grave impedirlo, ma di decidere l’opportunità che la Sapienza scegliesse il papa per rappresentare l’inizio dell’anno accademico, cosa che si può condividere o meno. E a chi avrebbero dovuto rivolgersi i critici, se non al proprio rettore? Oppure si vuole sostenere che non avevano diritto di criticarlo perché c’era di mezzo il papa? E per quali altri autorità varrebbe questo principio sospensivo?
Risibile poi è la lamentela sulla libertà di parola del Vaticano, quando è risaputo che da noi gode di una presenza esuberante in tutti i media, come in nessun altro paese europeo. Senza dimenticare che il vittimismo è da sempre un sofisticato strumento della propaganda cattolica, non sempre usato a proposito, come conferma la manifestazione in San Pietro.
Invece di stare a discutere se c’è la libertà di discutere, in assenza di alcun impedimento a discutere, sarebbe meglio discutere del merito. C’è un problema tra scienza e religione o è solo un ghiribizzo dei firmatari? Non solo esiste, ma tenderà ad aggravarsi nel secolo appena cominciato.
Come mai sono stati proprio i fisici ad aprire la polemica? Il processo a Galileo costituisce un passaggio decisivo nella formazione di un fisico sia sul piano epistemologico sia su quello morale. È naturale quindi una sensibilità maggiore rispetto ad altre discipline, soprattutto se ad attivarla contribuiscono gli attacchi vaticani alla scienza moderna. Fanno torto a papa Ratzinger gli apologeti sia di destra sia di sinistra nel non vedere la novità, non solo rispetto al Concilio, ormai già consumata da tempo, ma anche rispetto al suo predecessore Giovanni Paolo II, il quale arrivò, non dimentichiamolo, a chiedere perdono per il processo a Galileo. Quell’atto era per il papa polacco complementare all’accorata richiesta di riconoscimento nella Costituzione europea delle radici cristiane della civiltà occidentale. Coerentemente, egli valorizzava la linfa vitale di quelle radici, ma nel contempo si faceva carico delle sofferenze e delle divisioni provocate dalla Chiesa, portandone il peso nel modo penitenziale che da sempre ha fondato la forza spirituale del Cristianesimo. Si può condividere o meno quella tesi, si può partecipare o meno a quella tensione morale, ma certo si è trattato di un capolavoro lasciato in eredità ai suoi successori. In esso Ratzinger introduce uno squilibrio, quando chiede a gran voce il riconoscimento del primato della Chiesa, ma senza ammetterne i peccati, riprendendo anzi l’argomento di Bellarmino, anche lui sofisticato intellettuale europeo in quel tempo, sulla conciliazione tra ragione e fede, che poi si tramuta facilmente in una sottomissione dell’una all’altra, a causa della diversa forza performativa di quei due ambiti dello spirito.
Quando fede e ragione si identificano diventano entrambe più povere. Mi sia permesso di esprimere innanzitutto la preoccupazione per la stessa religione cristiana subordinata in tal modo ad un’esigenza ellenizzante di coerenza conoscitiva, col rischio di perdere un filone irrazionale certo non secondario nella sua storia, a cominciare da San Paolo che annuncia Cristo come scandalo per i giudei e follia per i pagani. La questione non è solo teologica, poiché in una società secolarizzata la rinnovata voglia di ortodossia porta la Chiesa a svolgere un ruolo di divisione della comunità civile. In una democrazia matura i principi non negoziabili possono essere solo quelli scritti nella Carta costituzionale, altrimenti diventa difficile la condivisione di uno spirito pubblico. Ed è incredibile che ciò accada proprio oggi, quando siamo diventati tutti liberali, quando non ci sono più le divisioni ideologiche novecentesche, né la guerra fredda.
Il papa buono, Giovanni XXIII, indicò la via, con la sintesi che possono avere solo le grandi profezie, introducendo cioè la distinzione tra l’errore da condannare e l’errante da amare. Oggi nella pastorale di Ruini suonerebbe blasfema quella distinzione. L’errore è diventato una clava contro gli erranti. Allora la Chiesa seppe svolgere una funzione pacificatrice, ampiamente riconosciuta, grazie alla quale aumentò la sua credibilità morale e politica, aiutando l’Italia a superare, un secolo dopo Porta Pia, qualsiasi retaggio anticlericale. Poi quel clima si è rotto e certo non sono stati i settanta professori di La Sapienza a compiere il primo strappo. Non sarebbe male se Oltretevere gli spiriti più meditativi sollevassero la domanda su eventuali responsabilità della Chiesa per il clima di scontro creatosi in Italia, poco adatto ai sentimenti di pacificazione della religione cristiana.
Sento l’obiezione legittima che non si può insegnare il Cristianesimo ai cardinali. E’ vero, e tuttavia si può sperare che se apprezzano tanto le lodi degli atei devoti siano altrettanto disponibili a rispettare le critiche mosse dall’interno di una sensibilità religiosa.
Inoltre, nell’accordo tra fede e ragione a soffrire di più è la seconda, e il conflitto si farà più aspro nel XXI secolo. I fisici, in ragione della loro Bildung, lo hanno avvertito per primi, ma non riguarderà la loro scienza. Il conflitto tra Bellarmino e Galilei verteva su ciò che è esterno all’uomo fino alle sconfinate dimensioni dell’universo. Ma domani il dissidio riguarderà come siamo fatti in quanto uomini e donne, la natura vivente che ci costituisce.
Già oggi è diventato difficile dare una definizione condivisa della natura umana, già se ne danno diverse e inconciliabili, eppure è più probabile che di tutte queste sorrideranno i nostri pronipoti. La rivoluzione della scienza della vita elaborerà nuovi paradigmi conoscitivi, produrrà innovazioni tecnologiche inimmaginabili, avrà impatti sociali e mentali di proporzioni mai viste prima.
D’altronde il concetto di natura umana è mutato nel corso della storia, seppure più lentamente. La Chiesa cattolica pretende di darne una definizione fissata per sempre e in questo curiosamente sposa un certo illuminismo di tradizione giusnaturalista, ma nel contempo rinnova un’antica radice della sua intolleranza pretendendo di certificare per tutti, anche per i non credenti, ciò che si considera vita. E’ un’antica pretesa, peraltro quasi sempre fallita, di bloccare ciò che è inevitabilmente fluido nella trasformazione culturale. Ma è lo stesso sviluppo della teologia a smentire questa fissità, se solo mezzo secolo fa la concezione cattolica della vita era centrata sulla persona piuttosto che sull’embrione. La confusione del Vangelo con la biotecnologia è ovviamente un prodotto molto recente e non tra i più solidi dell’esegesi cristiana.
Questi problemi saranno forse il banco di prova più impegnativo della democrazia, della sua capacità non solo di creare ordine nei rapporti sociali, ma anche di regolare la vita e la morte. Qui si giocherà il destino stesso della democrazia come regola di decisione tra diversi, come risultato di conflitti che generano riconoscimenti. Vincerà anche questa sfida, come tante altre in passato, la democrazia se, per dirla con Bobbio, manterrà la promessa di alimentare al suo interno le energie per il proprio sviluppo. Se al contrario passerà l’idea che la democrazia è un orcio vuoto, una mera procedura, come spesso anche noi di sinistra abbiamo preferito credere, allora vinceranno quelli che intendono riempirla con il buon vino d’annata, con i valori dei bei tempi andati, con la religione civile e pagana, ma rassicurante anche per chi non crede.
Di fronte alla mutazione ventura la Chiesa è più avanti di tutti. Con il suo fiuto millenario ha capito che la sfida decisiva è sulla scienza del XXI secolo e ha già collocato le sue forze in campo. Tra le organizzazioni non scientifiche essa è quella che spende maggiori energie organizzative, ideologiche e comunicative per gestire i risultati della ricerca scientifica. In questo è molto più preparata dei non credenti. D’altronde ci vuole poco. Basta ricordare il recente referendum sulla legge della procreazione assistita vinto dalla semplicità della propaganda cattolica contro l’afasia della comunicazione laica.
Ma lo squilibrio di forze è molto più profondo. E’ ormai pienamente sviluppato un grappolo di rivoluzioni scientifiche che minano alle fondamenta le basi epistemologiche della modernità seicentesca. Il mondo di Galileo è oggi superato non dalle frasi di Ratzinger, ma dai nuovi paradigmi delle scienze della vita, della mente, dell’informazione e della materia, i cui maggiori successi non sono riconducibili al concetto e al ruolo della legge scientifica della fisica classica.
All’epoca la rivoluzione galileiana non rimase confinata alla descrizione della natura, ma ebbe impatti in tanti altri campi del sapere. La ragione moderna venne organizzata prima come legge scientifica e poi come legge dello Stato, la Costituzione fondamentale, e poi ancora come legge filosofica, le categorie dell’intelletto. Tutto il sistema di pensiero moderno venne modellato su assiomi fondamentali da cui derivare per deduzione le verità particolari.
Questa mirabile costruzione è travolta perché le nuove scienze hanno progredito enormemente, senza che la cultura sia stata in grado di fornirne una comprensione autentica. Oggi usiamo furiosamente le conseguenze tecnologiche di queste scienze, ma non si vedono in giro gli Hobbes e i Kant capaci di proporci nuovi ordini politici e filosofici per capire davvero la rivoluzione di internet o della post-genomica. E’ una di quelle fasi storiche in cui la potenza di trasformazione sopravanza la capacità di regolare i processi. C’è un’asimmetria tra la forza della scienza e la debolezza del pensiero. In questo scarto nasce l’inquietudine contemporanea e il senso di smarrimento, quella sottile contraddizione dello Sciamano in elicottero, per riprendere un testo di Marco D’Eramo, che mescola nella confusa postmodernità sia l’innovazione sia la regressione culturale.
Questo squilibrio apre la strada a due esagerazioni. Da una parte la sicumera di alcuni settori scientifici e soprattutto tecnologici, i quali, sapendo di essere più avanti, spargono le illusioni di magnifiche sorti e progressive, riproponendo tra tutte le culture scientifiche il più consunto positivismo, anche se ormai molto invecchiato rispetto alla complessità dei loro saperi.
Dall’altro estremo la Chiesa cattolica si offre di sanare lo squilibrio con la subordinazione della ragione alla fede. Si parla di integralismo, fondamentalismo, oscurantismo, ma sono tutte parole fuori gioco. Il lessico distratto dei laici è inadeguato a descrivere l’ambizioso progetto ecclesiastico. Esso opera dentro la grande contraddizione contemporanea, avendone avvertito per primo la portata e il significato, con l’ambizione di guidare il futuro conservando il passato, come seppero fare i grandi papi della Controriforma.
Il problema quindi alla fine non è Ratzinger, ma l’assoluta impreparazione della cultura laica di fronte a queste sfide. Il continuo scivolare verso la facile risposta del libero confronto di opinioni, anche senza avere alcuna opinione. La rimozione di domande forti a favore di banali problemi di metodo. La paura di un vera polemica con la religione, dimenticando che i frutti migliori della cultura occidentale sono quasi tutti concetti religiosi secolarizzati, cioè proprio il frutto di questo scontro di idee, che oggi potremmo gestire più serenamente non essendoci più né roghi né inquisizioni. La polemica religiosa quando è creativa di tensione culturale, rispettosa della democrazia e ispirata ad un avanzamento dello spirito pubblico è sempre una risorsa per la civiltà di un popolo.
Al contrario, mi ha colpito l’unanimità della politica laica nel condannare i poveri professori di scienze, nel prendere sdegnosamente la distanza da loro, nell’affannarsi a chi la sparava più grossa per non correre il rischio di essere accusati di anticlericalismo. In quell’aderire compatta alle ragioni del Vaticano la cultura laica è apparsa in tutta la sua debolezza, come un pugile suonato che, allo stremo delle forze, abbraccia l’avversario nella speranza di non cadere al tappeto. E gran parte della classe politica mentre quasi si commuoveva per Mastella trovava l’unanimità per rampognare i professori.
Così in questo bizzarro Paese, in cui ogni giorno agiscono indisturbati mafiosi, inquinatori, evasori fiscali, arricchiti a spese del bene comune, politici corrotti e imbroglioni di ogni risma, in questa babilonia di illegalità e di arroganza, sono finiti sul banco degli imputati un gruppo di scienziati. Conosco personalmente gran parte di loro, sono ricercatori che danno prestigio all’Italia nel mondo nonostante il cattivo esempio di gran parte della classe dirigente, sono formatori di giovani brillanti costretti ad andarsene perché qui la ricerca non si può fare, sono persone miti e anche un po’ ingenue al contrario di molti furbacchioni che li hanno accusati, sono dipendenti dello Stato che dedicano tutte le loro energie dalla mattina alla sera ad educare i nostri giovani non solo alla scienza, ma alla democrazia e al bene comune. Sono eroi civili di un Italia che neppure sa di averli come risorsa per il futuro. Sono stati messi all’indice come cattivi maestri. Mai come oggi la povera Italia avrebbe tanto bisogno di questi cattivi maestri.

Walter Tocci

20-1-2008

1 commento:

tubingen92 ha detto...

Se Ratzinger dovesse sotenere che il processo a Galileo del 1633 annus domini (!) è stato ‘ragionevole e giusto’, meriterebbe una risata. Non una lettera di protesta. La risata in questo caso se la fanno in Vaticano. Non credo pertanto che la protesta dei docenti fosse necessaria, così come non credo fossero necessarie le scuse del precedente Papa, a nome della Santa Romana Chiesa, proprio per il medesimo processo e condanna inflitta a Galileo quattro secoli fa.

Il pensiero e i discorsi del Papa non dovrebbero allarmare i non credenti (come il sottoscritto). Non è certamente colpa della dottrina della Chiesa se la maggioranza degli studenti italiani, sulla base di un recente sondaggio, non sa che la terra ruota intorno al sole. Si potrebbe forse dire che la responsabilità sia più dei professori che dei cardinali. E magari potremo anche domandarci come mai i nostri migliori scienziati si trovino tutti o quasi all’estero, in Università dalle quali vincono i premi Nobel.

Alberto Quartaroli