domenica 30 settembre 2007

Università e Ricerca, Governo e Partito Democratico: la risposta di Luciano Modica alla nostra lettera aperta.

Pubblichiamo una sincera e, immagino, sofferta autocritica del sottosegretario Luciano Modica, in risposta alla nostra lettera aperta apparsa da Europa il 26 settembre 2007.

Università e Ricerca, Governo e Partito Democratico
Luciano Modica, 18 settembre 2007


Per iniziativa della FISV (Federazione Italiana Scienze della Vita) il 14 settembre è stata resa pubblica una lettera aperta su università e ricerca indirizzata ai candidati alla segreteria del Partito Democratico. Sono un convinto sostenitore del Partito Democratico e della candidatura a segretario di Walter Veltroni. Vorrei quindi condividere con i firmatari della lettera alcune riflessioni ispirate dalla mia attuale esperienza come sottosegretario all’università.

Nel mondo universitario la delusione nei confronti del governo di cui faccio parte sconfina ormai in sconforto generalizzato. Forse le attese erano state troppo forti, ma i risultati sono ancora davvero miseri. Vi sono alcune ragioni: la scelta di austerità della spesa pubblica, la debolezza numerica della maggioranza parlamentare, la diffusa sfiducia nell’università che serpeggia nell’opinione pubblica. Ma, in questi sedici mesi di governo, il prezzo pagato in campo universitario è stato certamente troppo alto.

L’esempio più evidente è citato nella lettera aperta. La coalizione di centro sinistra aveva esplicitamente scritto nel programma elettorale di voler investire nella ricerca “libera”, cioè quella liberamente proposta dai ricercatori, la più importante per l’innovazione di medio e lungo periodo.

Il governo è riuscito ad inserire in legge la ricerca libera – è la prima volta che succede – e a destinarle nuovi finanziamenti tramite il fondo FIRST che unifica i fondi esistenti e li incrementa di 300 milioni. Ha esteso la partecipazione ai bandi per la ricerca libera di interesse nazionale al personale di ricerca sia delle università che degli enti pubblici di ricerca affinché il sistema della ricerca pubblica costituisca un’unica rete integrata. Ha vincolato per legge l’assegnazione dei fondi a procedure di valutazione condivise a livello internazionale nelle rispettive comunità disciplinari.

A fronte di quest’impegno riformatore, il Ministero ha varato solo oggi il regolamento per i fondi annuali per i progetti di ricerca di interesse nazionale (PRIN), con una dotazione di poco più di 74 milioni, paradossalmente molto meno di quanto fu stanziato nel 2005. Ci sono delle ragioni di tipo giuridico-finanziario che sarebbero noiose per chi non ama i cavilli e certamente non consolerebbero né convincerebbero per nulla i docenti universitari.

Ma soprattutto, rispetto al testo del regolamento PRIN messo a punto dopo mesi di lavoro, nel decreto appena firmato è stata quasi del tutto perduta l’occasione per operare una riforma profonda, senza precise ragioni. I ricercatori degli enti pubblici di ricerca sono rimasti esclusi, salvo che possono partecipare come comprimari nei progetti dei professori universitari. I dottorandi di ricerca e tanti giovani precari assegnisti e contrattisti di ricerca non vengono nemmeno citati, non possono presentare domanda di finanziamento e forse non possono neppure far parte delle unità operative. L’utilizzazione delle aree scientifiche dell’European Research Council, che avrebbe anche giovato per spingere i ricercatori italiani a confrontarsi sulle stesse basi su cui si confrontano in Europa, è stata sostituita dalla vecchia e rassicurante suddivisione nelle 14 aree CUN, per giunta con un minimo di finanziamento garantito indipendente dalla qualità delle domande pervenute. E si potrebbe continuare.

Un’occasione mancata, nonostante che qualche punto positivo sia rimasto, come la quota riservata ai giovani e il ritorno al sistema dei revisori anonimi. Rimane solo da chiedere con forza che, fatte le dovute modifiche legislative per superare alcune contraddizioni nella legge vigente, il PRIN 2008 sia bandito nel gennaio 2008 e sia davvero quello della svolta: nuove regole, molte più risorse.

La vicenda PRIN ci insegna che vi sono certamente insufficienze del nostro governo ma vi è anche un malessere generale della nostra democrazia. Chi ha avuto dagli elettori il mandato di governare il Paese non è spesso in condizioni di farlo in modo efficiente. Un’inestricabile rete di controlli di forma che tendono a trasformarsi in controlli di merito, una spasmodica attenzione alla procedura più che al risultato si alleano silenziosamente con gli ambienti più conservatori e ottengono l’effetto di diluire nel tempo, per mesi e anni, ogni atto di governo e di occultare ogni responsabilità. Il risultato è la sensazione, assai diffusa nell’opinione pubblica, che nulla cambi mai con nessun governo. E’ il fallimento della politica, che sfocia nell’antipolitica periodicamente riaffiorante.

Sono sincero: viene forte e frequente la voglia di mollare tutto. Se non lo faccio è perché sento la responsabilità che mi è stata affidata e dalle responsabilità non si fugge. E’ un lavoro quasi disperato, in una macchina ministeriale che stenta a funzionare bene e per un sistema universitario esasperato. Ma è l’unico modo di tentare di realizzare nella legislatura il programma che abbiamo proposto e promesso ai nostri concittadini.

La lettera aperta tocca altri due punti caldi. Uno è quello delle nuove regole per i concorsi per ricercatore, tema quanto mai delicato e su cui si stanno esercitando poteri interdittivi forti. Le nuove regole devono assicurare, come prescrive la legge finanziaria 2007, celerità, trasparenza e allineamento agli standard internazionali. Anche in questo caso abbiamo realizzato, almeno in termini normativi, una parte del programma elettorale.

Il mondo accademico si è dimostrato generalmente alquanto scettico, spesso risolutamente contrario alle nuove regole. Sono grato ai firmatari della lettera aperta di una posizione invece favorevole, che spero si diffonda perché è assolutamente urgente recuperare la credibilità nazionale e internazionale dei nostri meccanismi di reclutamento universitario.

In questo momento il regolamento sui concorsi è sottoposto agli organi di controllo. Abbiamo sei mesi di ritardo ma speriamo di concludere quanto prima la procedura mantenendo intatto l’impianto riformatore. Però, per evitare di mandare a residuo i 20 milioni di euro che la finanziaria stanziava per la prima tranche 2007 di concorsi per ricercatore con le nuove regole (sono pur sempre circa 400 nuovi posti), abbiamo deciso di assegnare subito questi fondi alle università in modo che reclutino comunque nuovi ricercatori anche se con le vecchie regole. Lo abbiamo fatto con le stesse preoccupazioni che la lettera aperta sottolinea, ma ci sarebbe sembrato ancora peggio far perdere al sistema universitario queste risorse. Per il 2008 sono già stanziati altri 20 milioni e per il 2009 ulteriori 40, quindi un totale di altri 1200 posti da mettere a concorso con le nuove regole. Non disperiamo di poter incrementare ancora queste cifre con la prossima legge finanziaria.

Vorrei anche segnalare che, per la prima volta, i nuovi posti non saranno assegnati alle università secondo i soliti parametri (numero professori, numero studenti, etc.) ma sulla base del numero dei giovani che ogni università ha formato alla ricerca e sulla base della valutazione della qualità della ricerca operata dal CIVR.

E’ ancora un altro passo per realizzare il nostro programma, sia pure con gravi ritardi e tra grandi difficoltà. Se pensassi che il programma non potesse più essere realizzato, non esiterei un momento a dimettermi.

Infine il secondo punto caldo segnalato dalla lettera aperta, quello dei tagli ai bilanci degli enti di ricerca. Non ho usato prima parole leggere. Ripeto qui che il sacrificio finanziario richiesto ad università ed enti pubblici di ricerca dalla finanziaria 2007 è stato troppo pesante. Però va detto che il taglio ai bilanci degli enti operato a dicembre è stato restituito col decreto-legge di luglio, una volta verificato che il risanamento delle finanze statali era ormai avviato se non raggiunto. Sono in corso le operazioni di assegnazione ai singoli enti di ricerca con un decreto ministeriale su cui devono esprimersi le commissioni parlamentari e gli organi di controllo. Comunque, al termine della procedura, il finanziamento statale degli enti di ricerca vedrà nel 2007 un significativo aumento rispetto ai dati del 2006.

In conclusione devo ammettere che un punto strategico del programma è stato finora mancato, quello della priorità da assegnare al tema del sapere in un’economia della conoscenza. E’ un impegno preciso del Partito Democratico, testimoniato in un appello firmato da migliaia di persone, che la priorità del sapere si trasformi finalmente da predicata in praticata. E’ l’impegno principale della mia attività politica e lo sarà anche nel nuovo partito.

Però, se il primo DPEF del governo Prodi (luglio 2006) sembrava addirittura affermare che la spesa pubblica per l’università era eccessiva, il secondo (luglio 2007) rettifica giustamente la posizione segnalando onestamente che tra i diciannove Paesi europei che fanno parte dell’OCSE, l’Italia è tristemente il fanalino di coda nelle spese per l’istruzione post-secondaria, sia come percentuale rispetto alla spesa pubblica totale (Italia = 1,6%, media europea = 2,7%), sia come percentuale sul PIL (Italia = 0,8%, media europea = 1,3%). Per raggiungere la media europea non basterebbero 4 miliardi.

Sono dati amari e preoccupanti. Entro il mese di settembre sarà sottoscritto un patto per l’università e la ricerca col Ministero dell’economia, sull’esempio di quello sottoscritto nel 2006 dal Ministero della salute che ha dato buoni risultati per quel settore. Dovrebbe seguirne una finanziaria migliore per il nostro settore di quella dell’anno scorso.

Mi rendo ben conto che non sono ancora i “fatti” che giustamente università e ricerca reclamano, ma solo “segnali”. Troppo poco, certamente. Non accampo giustificazioni. Spero solo che i tanti che credono, sperano e lavorano seriamente nell’università e nella ricerca abbiano colto almeno il senso di marcia della nostra azione. Sarebbe già tanto se vogliamo, come vogliamo, che i fatti finalmente arrivino.

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